Film netto, preciso come un gesto. Bonello riparte dalle
parole del suo Yves Saint Laurent, se ne riappropria, spostandone il senso
dalla foggia di un abito minimalista eppure superbo a un desiderio, finora
irrealizzato, per il proprio cinema. L’immaginario di Bonello non è mai netto
né tantomeno preciso. È fatto di traiettorie imprevedibili, di linguaggi,
stimoli e suggestioni che sembrano quasi premere ai bordi dell’inquadratura pur
di accedervi e conquistarsi uno spazio. Coma non fa eccezione: racchiuso in una
toccante lettera alla figlia Anna, che apre e sigilla il film, come il
frullatore pubblicizzato dalla misteriosa e mistica influencer Patricia Coma,
crea “una zuppa calda con delle verdure crude”, in un magma visivo tanto
cerebrale quanto emozionale. Le verdure, va da sé, sono le immagini, quelle che
oggi affollano le nostre giornate rendendo impossibile ogni precisione, ogni
nettezza. Sul coming of age sospeso, messo in pausa, di un’adolescente in
lockdown (Louise Labèque, ritrovata dopo Zombi Child del 2019) si aprono come
pop-up le videocall, le chat Zoom con dibattiti su serial killer, i video della
youtuber interpretata da Julia Faure e
misteriose riprese senza autore di videocamere di sorveglianza, in un
andirivieni tra sogno e veglia, in cui l’immagine, ognuna col proprio diverso
formato, finisce per perdere qualsiasi aderenza al reale.
Diventa, anzi, così allucinatoria da farci smarrire insieme
alla protagonista: è vero o immaginato l’uomo che assalta l’amica durante la
call Zoom, tra Elle di Veroheven e un true crime di Netflix? Le Barbie
conducono una vita propria che mescola la soap opera ai tweet più folli di
Donald Trump? E la foresta in cui la ragazza finisce per perdersi è un cuore,
rivelatore, che tra Dante, Lynch e Philippe Garrel immagazzina incubi di altri
autori, mentre la voce di Deleuze ci invita a fare attenzione a non perderci
nei sogni degli altri?
Per quanto racchiuso nella cameretta di una teen-ager, Coma
non è un film sul lockdown. Al contrario, sembra la pandemia ad essersi
appropriata dell’immaginario del cinema di Bonello, da sempre avvezzo agli
universi chiusi, cantore – come scrivevamo a proposito di Nocturama – della
fine di mondi e sistemi. Ed è allora naturale che in questo nuovo livre
d’image, composto dall’autore più godardiano oggi, Bonello riparta proprio dal
collasso, per ipertrofia, del Sistema-Immagine. Se Nocturama era un film
racchiuso sull’attesa dell’evento, oggi tutto sembra essere accaduto e
smaterializzato. Dopo aver sperato, da cineasta, nella Fine, nella Crisi, per
tutta la sua filmografia, da Le pornographe a De la guerre a L’apollonide, oggi
Bonello si interroga, da padre, sulle macerie rimaste in mano a una generazione
che appare già segnata, priva di libero arbitrio, costretta a ripetere sequenze
luminose da cui ogni ipotesi di errore è stata rimossa. Eppure, proprio nel suo
tirare giù gli idoli, nello strenuo rifiuto del passato, anche cinematografico,
quando non sia veicolato a rimettere in circolo idee, sta il lascito artistico
e umano che l’autore fa alla propria figlia e a tutti i suoi coetanei. A loro
Bonello consegna immagini furenti di distruzione, auspicando una rinascita,
come nel brano di Andrea Lazlo De Simone scelto per accompagnare le solitarie
danze della giovane protagonista. Da domani inizierà una nuova immensità.
Pubblicato su sentieriselvaggi.it, 10 Luglio 2023 di Fabiana Proietti
Le immagini in cui la figlia del regista si ritrova immersa
sono per lei spesso illeggibili, difficilmente interpretabili e potenzialmente
pericolose; sono delle ossessioni, dei sogni che si fanno incubi. Sono il
riflesso del trauma personale di un’adolescente e di un intera popolazione.
Eppure al contempo quelle immagini rappresentano l’unica possibile via di fuga
da un presente opprimente e privo di vita; il pretesto per liberarsi dalla
monotonia e trovare rifugio in narrazioni sempre nuove e stimolanti. In questo
Coma palesa l’assoluta dipendenza che abbiamo nei confronti dell’immagine
(cinematografica e non), senza la quale sembra praticamente impossibile
sopravvivere oggi. Ma a questo si deve aggiungere l’automatismo quasi
inconsapevole e incontrollato con cui ogni stimolo visivo diventa una
rielaborazione personale della realtà: una dipendenza nella quale è facile
rimanere intrappolati ma di cui è anche impossibile fare a meno.
Così anche una lettera d’amore per un’adolescente appena
maggiorenne diventa un racconto universale che si adatta facilmente
all’esperienza che ogni individuo ha vissuto in quel momento storico. In tutto
questo aleggia chiaramente una continua sensazione di imminente fine del mondo,
che però è contrastata dalla speranza di un futuro in cui le nuove generazioni
sapranno padroneggiare le immagini, e quindi la vita, con più fortuna.
Pubblicato su cineforum.it, 10 luglio 2023 di Francesco
Ruzzier