martedì 25 ottobre 2011

DAVID CRONENBERG “A Dangerous Method” e il cinema “pericoloso”


Esiste da sempre, nelle opere di Cronenberg, un percorso stilistico e tematico, quello della mutazione del corpo e della mente. Corpo non inteso soltanto come involucro, ma come contenitore vuoto, pronto per essere riempito o “infettato” dai percorsi dell’evoluzione, della psiche, della scienza, dalla sessualità, dalla tecnologia e dai cambiamenti sociali che essa genera.
Personalmente immagino “A dangerous method” come un progetto che dovrebbe trovarsi a monte dell’intera opera del regista canadese, pur essendo giunto ad una cinematografia più patinata e d’autore, che tanto rendono felici i critici festivalieri, rispetto alle prime opere, sicuramente più grezze ma non per questo meno forti e di rottura. Un progetto atto a decifrare, attraverso linguaggi cinematografici solo apparentemente distanti tra loro (fantascienza, dramma, noir) il cambiamento e la mutazione dell’uomo e la società che ha contributo a creare. In fondo che cos’è la descrizione del complesso rapporto tra il giovane psichiatra Carl Jung e il suo maestro Sigmund Freud, segnato tra momenti di isteria e forbite disquisizioni sulla psicanalisi, se non la genesi di un cambiamento, di una mutazione, nel percorso di trasformazione dell’uomo, verso confini della mente fino ad allora inesplorati ? La prima definizione di "controtransfert" nella storia della psicoanalisi formulata nei primi del ‘900 da Freud, in una lettera inviata a Jung, sarà l’inizio del “cambiamento”. Grazie ai diversi approcci e metodi dei due, con un rapporto che inizialmente parte da allievo-maestro per arrivare allo scontro, e grazie all’interpretazione di Jung del sentimento di "controtransfert", si riterrà possibile recuperare informazioni sulle dinamiche profonde del paziente, dell’uomo, in altri modi difficilmente reperibili. Essendo un fan accanito di Cronenberg, e quindi probabilmente non sempre coerente, non posso esimermi dall’aver trovato “A dangerous method” un altro tassello fondamentale della sua opera e del cinema tutto, dove ritorna preponderante anche il tema della sessualità. Sessualità facente parte della storia e dell’evoluzione del rapporto tra Freud e Jung e dell’ “uomo”, grazie alla presenza di Sabina Spielrein - che si frappone tra loro come icona stessa del desiderio  che entrambi stavano studiando - interpretata da K. Knightley, con una maschera da grande attrice che rende onore allo stato di grazia di M. Fassbender e di V. Mortensen, ormai assunto al ruolo di attore feticcio di Cronenberg.
La mia idea, sulla quale mi aspetto opinioni contrastanti, di immaginare “A dangerous method” come il percorso iniziale dell’intera cinematografia del canadese, nasce da quella che ho sempre percepito come la sua personalissima esplorazione dell'uomo di fronte alla mutazione del corpo, dell'infezione e contaminazione, non solo biologica, dove sempre l'elemento psicologico è legato a doppio filo con quello fisico, muovendosi attraverso tematiche sociali profonde. In quello che ritengo uno dei film più importanti, non solo dal punto narrativo e stilistico della storia del cinema, “Videodrome”, Cronenberg precorre con circa 30 anni di anticipo, i pericoli della tv commerciale e propagandistica, dove l’unico diktat possibile è quello che esce dalla bocca del protagonista, un James Woods propietario di un piccolo canale televisivo mentre visiona un nuovo programma da mandare in palinsesto: “Quello che serve a noi è qualcosa di forte!” La storia si dipanerà in una vorticosa e pericolosa parabola fantascientifica, dove il Videodrome del titolo è un segnale televisivo capace di creare allucinazioni nello spettatore, di modificare la realtà, da cui nemmeno il protagonista, pur rendendosi conto del pericolo, ne rimarrà immune, cercando di capire il “potere” che si cela dietro la genesi del pericolo di trasmissioni che modificheranno mode, costumi e comportamenti per i decenni successivi.
Gli altri segnali della “mutazione”, si incentrano sulla modifica del corpo umano non solo da parte della scienza (La Mosca), ma addirittura dalla chirurgia estetica, pronta a generare epidemie di massa e radicali (Rabid), profondi cambiamenti nella borghesia che muteranno il tessuto sociale come un virus (Il demone sotto la pelle). Un discorso che prosegue nelle riletture di due romanzi difficilmente cinematografici come “Il Pasto Nudo” e “Crash”, tratti, o per meglio dire ispirati, rispettivamente ai romanzi cult di W. Burroughs e J. Ballard, avvicinabili al sublime “Inseparabili”, in cui due gemelli ginecologi condividono ogni cosa nella vita e si lasciano trascinare in una spirale di codipendenza e uso di droga, la stessa droga ( le droghe provate da Burroughs che sono alla base del suo linguaggio cut-up e la stessa ricerca di adrenalina che percorre il romanzo di Ballard e la trasposizione cinematografica di Cronenberg). La droga che diventa la ricerca del rischio, l’ennesima trasformazione sociale scaturita da una necessità di spingersi oltre le regole imposte dal mondo odierno , fino ad arrivare ad annullare se stessi e reinventare il proprio passato e la propria identità, per riuscire a rigenerarsi e sopravvivere, come nei capolavori “A History of Violence” e “La promessa dell’assassino”. Temi questi, legati a filo doppio con l’amore impossibile che diventa esso stesso una dipendenza (“M. Butterfly”), le allucinazioni di un mondo parallelo del gioco virtuale di “Existenz” e dei suoi diversi livelli di realtà (onirica o migliore di quella quotidiana ?).
“Spider” sembrava apparentemente chiudere un cerchio, sui tormenti della malattia mentale sempre interpretata  come fuga dalla realtà odierna e dal male da cui si tenta di fuggire, ma riporta direttamente a “A dangerous method”. La mutazione, nella “poetica” cronenberghiana, come i virus, il travestimento, la scienza, il quinto potere sono, a mio parere, visti come fenomeni atti alla generazione della continua evoluzione (specialmente nelle sue prime opere, in cui si annidava il pericolo della sviluppo della scienza e del disfacimento della società in cui viviamo, da sempre uno dei temi di certo cinema “fanta-horror sociale” di grandi e spesso denigrati registi come Carpenter e Romero, ad esempio) dell’uomo e dei cambiamenti che la società stessa impone.
Per chi volesse approfondire, in modo sicuramente più didattico e meno personale di quanto finora esposto, consiglio i libri “Corpi in mutazione. Dal cinema di David Cronenberg alle esperienze tecnomutative” e “David Cronenberg” di Gianni Canova.

8 commenti:

maxygroove ha detto...

http://www.youtube.com/user/TobWaylan#p/u/3/VPfYmAzJ6Ws

Alberto Valgimigli ha detto...

http://www.youtube.com/watch?v=YDldFzNy5bI&feature=related

emilianorusso ha detto...

l'unica obiezione che sento di muoverti, di muovere alla tua analisi pressochè perfetta della filmografia di cronenberg riguarda la cosiddetta "patinatura festivaliera" che ravvisi nel suo cinema recente, rispetto alla virulenza più esibita delle prime opere: per me invece è proprio dall'abbandono dell'immaginario horror e fantascientifico in poi che il regista canadese sta partorendo i suoi capolavori assoluti, iniettando le stesse tematiche, a lui care, dell'infezione/mutazione del corpo individuale all'interno del corpo politico, sociale e familiare (o addirittura del proprio stesso corpo individuale..) in generi progressivamente più aderenti al reale, il noir, il dramma familiare, il biopic, che alla semplice verosimiglianza del set richiesta dall' horror, e dimostrando nel fare ciò una padronanza narrativa sempre più raffinata. come se finora avesse solo affilato gli utensili, per aprire squarci in una realtà sempre più vicina a noi. con violenza più subliminale, anzi più silenziosa (ho l sensazion che eastern promise sia il primo film di mafia della storia del cinema occidentale dove non si ode una sola detonazione, e tutte le uccisioni avvengono attraverso incisioni, lacerazioni, lame di coltello o rasoi) ma non x questo meno disturbante. almeno fino a questo a dangerous method, che ancora non ho visto ma che dalle premesse pare confermare l'evoluzione del suo cinema.

emilianorusso ha detto...

come unknown?? sono emiliano!!

Roberto Gallino ha detto...

Ti ringrazio Emi (unknow? che strano...) per il tuo commento e il tuo appunto. Non intendevo assolutamente dichiarare che il cinema di Cronenberg ha assunto una patinatura festivaliera, ma solo aver raggiunto quella maturità espressiva e visiva, che è riuscito a farlo sdoganare da certa critica festivaliera, che fino a qualche anno (direi fino ad Inseparabili) lo snobbava come regista di genere (horror o fantascienza che fossero) e non come Autore. Quella stessa critica, da me sempre detestata, che, forse seguendo paradossalmente ed incosapevolmente la tematica di Cronenberg, si ritrova oggi ad essere "infettata", anche da un linguaggio cinematografico diverso da quello che solitamente girava in festival quali Cannes o Venezia, che applaudiva le solite opere morettiane, che ha permesso di allargare la classica fascia di pubblico, fintamente snobistica ed incolta, verso capolavori quali “A history of violence” o “La promessa dell’assassino”. Quella mutazione che ci ha permesso la visione, nei nostri poveri cinema sparsi per la penisola, di registi come Shinya Tsukamoto (per molti versi debitore di Cronenber) o Park Chan-wook e la sua trilogia della vendetta, solo per citare i primi che mi vengono in mente, che fino a qualche anno fa sarebbe stato impensabile. Il corpo vuoto, il corpo sociale, che sempre più si avvicina alla nostra realtà.
Grazie.

Emiliano Russo ha detto...

in un certo senso, quindi, è riuscito a infettare anche la critica che prima lo snobbava ;)

Roberto Gallino ha detto...

mi piace(rebbe) aver una visione simile. muta l'uomo e il contenitore dove esso vive, nella mia idea "sognatrice" l'arte contribuisce al cambiamento anche verso coloro che prima vi erano avversi. è questo il lato positivo della virulenza...

emilianorusso ha detto...

ecco, ora ci sono, con il mio account.. :)