Jacques Audiard è uno dei pochi registi
contemporanei dotato della rara perfezione di illustrare la capacità dei personaggi dei suoi
film. La capacità, o almeno il forte tentativo, di crearsi le proprie regole
e la propria resistenza, di trovare la
propria identità rispetto al mondo e alle sue difficoltà, alla violenza,
all’amore. Alla vita.
Che sia l’ex galeotto
interpretato da Vincent Cassel in “Sulle mie labbra (2001)” ( l’unico in grado
di non guardare e deridere dell’handicap di un’impiegata mezza sorda, riuscendo
a strapparla alla monotona vita d’ufficio e dalla derisione dei colleghi,
coinvolgendola in una rapina ), il Thomas di “Tutti i
battiti del mio cuore (2005)” (spinto dal padre in loschi e biechi affari, fino
all’incontro con una pianista vietnamita, che riuscirà a sradicarlo dalla vita
violenta impostagli dal genitore) o il giovane carcerato Malik di “Un Profeta (2010)”, i personaggi di
Audiard affrontano e sorpassano le loro personali mutazioni, fisiche ed
emotive, determinate da situazioni e incontri spesso non cercati o voluti.
Tratto dal libro di Craig Davidson “Ruggine e ossa (Einaudi, 2008)”, anche in "De rouille et d'os” secondo certa critica francese
clamorosamente escluso dal Palmarès del 65° Festival di Cannes - il pugile Ali
e Stephane non sfuggono a questa regola,
alla capacità di sopravvivere, di crearsi la propria nicchia in un universo
ostile.
Ali (Matthias Schoenaerts), operaio disoccupato ed ex pugile, con il piccolo figlio Sam che conosce appena, trova rifugio ad Antibes, a casa della sorella. Lavorando
come buttafuori in una discoteca, conosce Stephanie (una fantastica e dolente
Marionne Cotillard), un'addestratrice di orche, che durante il lavoro subisce un incidente in cui perde le gambe. Mesi di solitudine dopo
l’incidente, Stephanie cerca quell’uomo ruvido ma gentile che una notte l’aveva
accompagnata a casa. Da qui nasce un rapporto di
amicizia, sesso, amore mai esplicato verbalmente, un rapporto fra una donna menomata nel corpo e nell'anima, e un uomo che sa usare solo la sua brutale fisicità e leggerezza come verbalizzazione. Attraverso allontanamenti, incotri di pugilato clandestini, la leggerezza di Ali nel vivere il rapporto con la famiglia e con il figlio, drammi personali, i due riusciranno in un percorso di cambiamento e avvicinamento reciproco, trovando comunque, in quell'apparente antipodo emotivo che separa uno dall'altra, la stabilità forse mai realmente vista, o cercata e voluta fino ad allora.
“Un sapore di ruggine e ossa”
è anche un film sul corpo e sulla mente: il suo potere, la sua distruzione, la
sua immobilità, la sua ricostruzione. Il sapore di ruggine e sangue è quello
che Ali sente in bocca come ogni pugile dopo un combattimento, quando la
bocca si riempie di sangue e un cortocircuito di sensazioni contrastanti
pervade la mente dell’uomo al tappeto, quello che metaforicamente tutti hanno/abbiamo la sgradevolezza di provare su se stessi.
Gli eventi tragici che
coinvolgono i protagonisti sono i motori propulsori verso la rinascita, la luce
in fondo al tunnel, la capacità di trasformare il dolore in salvezza, la
tristezza in felicità, dalla caduta al riscatto, alla propria ricostruzione,
tramutando la pulsione di morte in attaccamento per la vita.
Audiard ha dichiarato che dopo
“Un Profeta” aveva il desiderio di fare un film sull’amore, sui suoi
innumerevoli aspetti e diversità d’interpretazione, sulle donne, sul linguaggio
amoroso della coppia; cosi come nel registro finto-noir di “Sulle mie
labbra”, il regista concentra ancora il suo sguardo personale su una storia
d'amore apparentemente fuori misura.
Stephane è in questo caso
l’emblema perfetto di quanto espresso da Audiard, con l’ossessione per una
sensualità disperata, per il suo corpo martoriato, che da strumento di lavoro, riesce a diventare strumento d’amore, che le permette di riprendere il contatto con
Ali, con la vita, con l’acqua, altro simbolo
preponderante con tutto ciò che il contatto con essa comporta, sensazione di libertà e di pericolo insieme.
Ali è invece l’unione della
dolcezza e della rabbia, della ferocia, sentimenti che si amalgamano e si
separano di continuo, quei sentimenti qui rappresentati anche dal suo rapporto
con il piccolo Sam, che spesso fanno emergere nell’uomo gli istinti animali che
lo pervadono, istinti mitigati da ciò
che ci contraddistingue - non sempre - dalle bestie feroci, quella ricerca di
pace interiore o di ricostruzione della relazione affettiva, filiale o meno che
sia.
Quelle moltitudini di
sensazioni che capita di percepire fisicamente,
quell'amaro che almeno una volta nella vita tutti abbiamo dovuto e
dovremmo, nostro malgrado, assaporare.
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