lunedì 28 gennaio 2013

that's entertainment parte 2°... "Django Unchained" "Lincoln" di S. Spielberg, "Flight" di R. Zemeckis

Non amo la veste del bastian contrario o tantomeno quella del solo contro tutti, e mi riferisco a questo spazio dove, in modo artigianale, mi diletto a riportare emozioni e giudizi, sindacabili come quelli di tutti, trasmessa, in questo caso, dalla visioni di un film. Anzi, di films (si scrive così, giusto?)
Per il Django senza catene, vi rimando ad una bellissima recensione di Rapporto Confidenziale scritta da Leonardo Persia, eccellente digirivista di critica cinematografica http://www.rapportoconfidenziale.org/?p=25959 . Pur posizionato all'opposto di quanto espresso da R.C., posso capire l'incensare il nuovo Tarantino ma, per quanto apprezzi l'enorme capacità di muovere la macchina da presa del Quentin superstar, sono stanco del suo continuo citazionismo, dei dialoghi surreali che se fino a "Pulp Fiction" erano realmente esilranti, qui sono sterili e noiosi; non avevo necessità, e sottolineo il non avevo, di un "Unglorious Bastards" virato western. Non mi associo nemmeno a Spike Lee, che aveva attaccato "Django Unchained", senza nemmeno averlo visto perchè, a suo parere, andava a toccare un tema scottante e delicato come quello dello schiavismo, condito in salsa spaghetti-western . Semplicemente non ho bisogno di queste velleità, di questi giochi pseudo-autoriali avvinghiati su se stessi. Aspetto con fiducia un ritorno di Tarantino alle attualizzate atmosfere  blaxploitation del grande, grandissimo "Jackie Brown", dell'ormai lontano 1997. Se poi si vogliono trovare, al di là del (da me) tanto vituperato citizionismo, letture più profonde ben vengano. Non credo, comunque, sia quello che interessa il regista, ormai allineato con la sua idea di divertissment.
Lo schiavismo sembra quindi essere un tema di estrema attualità al di là dell'Oceano, visto che in contemporanea con i massacri dell'ex-schiavo affamato di vendetta, sul grande schermo riprende vita, per mano di Spielberg, chi contribuì in maniera determinante alla sua abolizione, il 16° Presidente degli US Abraham Lincoln. Materia e personaggio decisamente scottante per gli americani, "Lincoln" è a metà tra lo Spielberg autoriale, quello che prova a raccontare la Storia (Schindler's List) con (troppa) enfasi e un grande dispendio di mezzi, e quello che la racconta con toni aspri ed amari (il più riuscito "Munich"). Con una posta in gioco così alta, la storia del Tredicesimo emendamento che di fatto abolì la schiavitù, coadiuvata, e lo si immaginava, da un ottimo D. Day Lewis, è troppo in stile  (televisivo) HBO, però quello meno riuscito. Colmo, a seconda di quello che si legge sul web, di errori e sviste storiche, si potrà ricordare per qualche scena e detestare per molte (la sempre presente figura della moglie del Presidente, i poco efficaci dialoghi-dibattiti dell'emendamento, la parte finale con l'assassinio di Lincoln).
"Flight" di Zemeckis, per quanto non riuscito e come spesso accade per i blockbuster statunitensi, rovinato dal solito finale-buonista (la redenzione del personaggio), è forse il prodotto di maggior entertainment del trittico. Peccato, perchè la causticità di certi dialoghi e situazioni, la notevole prova di D. Washington (un pilota di aerei di linea cocainomane e alcolizzato, alle prese con un incidente aereo in cui perdono la vita passeggeri e membri dell'equipaggio), preannunciavano una lettura - apparentemente - senza enfasi ed efficace sull'uso e abuso di alcool e droga; temi, anche questi, molto cari agli spettatori stelle e striscie. Varebbe la pena solo per il fantastico cameo del pusher, un ironico, dissacrante e magistrale John Goodman.

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