lunedì 23 gennaio 2017

Riflessioni su Paterson di J. Jarmusch


Mentre lo guardavo pensavo fosse una storia minimalista, fatta di piccole cose, silenzi, sospensioni.
A ripensarci invece lo trovo un film di peso e che dice grosse cose.
Importanti.
Poetico, sicuramente, ma anche in qualche modo assertivo.
Forse più per le cose che non mostra e che non dice. Quelle cui siamo abituati, quelle che pensiamo debbano esserci e invece non ci sono. 
I protagonisti sono due giovani. Non sognano il successo, non cercano di entrare in un’idea di felicità non loro. Sono sé stessi, vivono in modo semplice, stanno bene, non recitano ruoli.
Sono onesti, sinceri, condividano la vita, non se la raccontano.
Sognano e vivono, guidano il bus e scrivono poesie, decorano la casa e  aspettano un chitarra.
Dormono abbracciati, ma non devono esibire le loro scopate. La televisione è sempre spenta. La casa è semplice, in un posto anonimo, ma si veste della luce della sera e del mattino non meno di altri luoghi.
Nulla è altisonante o ridondante per paura del silenzio. Il silenzio va bene.
In tutto questo non c’è l’ambizione, la carriera, il peso del sistema, i soldi come misura della propria affermazione,  l’immagine di sé come un prodotto da vendere,  l’uso di un linguaggio forte ma vuoto, l’idea di sconfitta e di successo legata a questi falsi valori, il male di non essere perfetti.
Non tutte quelle cose che pare debbano esserci sempre, nei film come nella vita.
Posso dire che tutto questo è un discorso dannatamente politico?
Non la politica cui siamo abituati, non il teatrino dei contrapposti battibecchi in cui spesso anche noi cadiamo.
Ma la politica che facciamo ogni momento con le nostre vite.
Ecco un film poetico, ma anche politico. Anticapitalista, più di tante parole che ho sentito negli anni.

Edoardo Badano

Nessun commento: