Ha molto del cinema Nouvelle Vague e post questo gran bel film sugli effetti traumatici dell’attentato al Bataclan. L’intesa tra Noémie Merlant e Nahuel Pérez Biscayart ha qualcosa di miracoloso.
La fine, il nuovo inizio e ancora la fine di una storia. A
volte l’intesa tra due attori fa miracoli. È il caso di Noémie Merlant e Nahuel
Pérez Biscayart. Lei è stata la protagonista di Ritratto della giovane in
fiamme ma ha confermato il suo talento anche con Jacques Audiard (Parigi, 13
Arr.) e ha tenuto testa alla grande a Cate Blanchett in Tàr. Lui invece ha
lasciato il segno con l’incredibile vitalità sprigionata nel ruolo di Sean in
120 battiti al minuto. Il film è tutto nei loro cenni d’intesa, distacchi,
riavvicinamenti, disagi. All’inizio di Un anno, una notte c’è il dettaglio
sulle palpebre e i piedi. Alla fine due corpi. Potrebbe essere un flash che
arriva da Alain Resnais o Marguerite Duras. Oppure quello del tempo infinito
della ricerca della felicità di La maman et la putain di Jean Eustache. Ha
molto del cinema Nouvelle Vague e post questo gran bel film girato dal cineasta
spagnolo Isaki Lacuesta. Perché prima della storia, sono i sentimenti dei
personaggi che parlano. Non c’è voce-off ma è come se i rispettivi monologhi
interiori s’incrociassero in continuazione.
C’è un prima e un dopo nella relazione tra Céline e Ramón.
C’è una notte cha cambia tutto, quella dell’attentato al Bataclan di Parigi il
13 novembre 2015. Quella sera entrambi erano lì assieme ai loro amici Carlos e
Lucie. Céline cerca di reagire subito e di lasciarsi quel tragico evento alle
spalle continuando a lavorare come assistente sociale. Ramón invece non ce la
fa. Fa fatica ad uscire di casa, non riesce più ad andare al lavoro che poi
cambia e cerca aiuto nella terapia. La loro storia è a un bivio. Riuranno a
ritrovare un equilibrio nella loro vita e tornare alla normalità?
Ci sono due scene centrali in Un anno, una notte. La prima è
quella in cui i due protagonisti sono assieme ai loro amici Carlos e Lucie.
Ramón vorrebbe provare a parlare di quello che è accaduto quella notte. Céline
invece cerca di cambiare argomento. L’altra è quella della litigata dopo una
serata passata con gli amici spagnoli di lui. Li entrambi vivono tutta la
difficoltà di parlare sulla loro pelle. Perché è su questo che si sofferma il
film: l’incapacità di trovare le parole per raccontare quello che è successo.
Questo elemento, già alla base del romanzo Paz, amor y death metal di Ramón
González dove i due personaggi principali hanno gli stessi nomi di quelli
reali, nel film si amplifica ancora di più. Ci sono flash che possono essere
soggettivi. I ricordi di quella sera. L’appuntamento, il ritardo di lui e la
corsa con lo scooter, l’allegria, le voci confuse nel locale, la musica e poi
di colpo gli spari. A volte sono nitidi, altre invece più confusi. Proprio il
controcampo passato/presente ripercorre una vicenda che può lasciare anche una
doppia interpretazione sull’epilogo.
La regia di Isaki Lacuesta, che già aveva mostrato come i
traumi del passato condizionano inevitabilmente il presente come nei ricordi
dei due fratelli che avevano assistito alla morte violenta del padre in Entres
dos aguas e dell’adolescente ritrovato in un centro d’accoglienza che non
ricorda niente della sua infanzia in La prossima pelle, è viscerale, non
trattenuta e non si ferma neanche davanti a qualche piccolo sbandamento come il
pianto di Ramón davanti alla psicologa. Sa essere attaccato alla pelle dei suoi
personaggi. Un po’ Audiard, un po’ Almodóvar. Ma anche senza nessuno dei due.
Quando si allontana dalla narrazione a lascia deambulare da soli i due
protagonisti, sono vertigini: l’attacco di panico di Ramón al museo, Céline che
torna a ballare (da sola) tra paura e l’istinto a (ri)perdere finalmente il
controllo. A quel punto tutto va in secondo piano: la rabbia per il discorso
del Presidente Hollande, quella di non sentirsi francesi anche se si è in
Francia, l’ossessione di riavvolgere il nastro per tornare a quella notte. E
tutta l’energia devastante di Un anno, una notte non è tanto nella
ricostruzione, ma proprio nella capacità di rivivere la serata al Bataclan
attraverso gli occhi di chi c’era. Le mantelle fluorescenti all’inizio mostrano
tutta l’incredulità di come tutto possa cambiare da un momento all’altro. E le
strade, le persone, la stessa Parigi, sono cambiati per sempre.
Pubblicato il 10 Novembre 2022 su sentieriselvaggi.it di
Simone Emiliani
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