Un uomo muore cadendo dalla cima di una montagna. Il detective incaricato, Hae-joon, incontra la moglie dell’uomo deceduto, Seo-rae. “Mi preoccupo quando non torna da una montagna, pensando che alla fine potrebbe morire”: Seo-rae non mostra alcun segno di agitazione per la morte del marito. A causa del suo comportamento, così diverso da quello di un parente in lutto, la polizia la considera una sospettata. Hae-joon interroga Seo-rae, la spia durante un appostamento e inzia a sviluppare lentamente un interesse verso di lei. Una sospettata che nasconde i suoi veri sentimenti; un detective che sospetta e desidera il suo sospettato; la loro decisione di andarsene… [sinossi]
Dal 2005
fino a oggi, ovvero dopo Lady Vendetta, il cinema di Park
Chan-wook ha dovuto fare i conti con la fine della trilogia e con l’abbandono di temi congeniali,
perfettamente sviscerati, messi in scena, dominati dal regista e sceneggiatore
sudcoreano. Da I’m a Cyborg, But That’s OK a Mademoiselle,
passando per la sortita statunitense Stoker, Park ha cercato nuove
forme, sperimentando anche con i cortometraggi (Night Fishing) e non disdegnando la
serialità (The Little Drummer Girl). Un girovagare che sembra
finalmente potersi placare con Decision to Leave,
pellicola che riesce nuovamente a coniugare in maniera straordinaria forma e
contenuto.
Il
cinema di Park, che ha sempre trasudato virtuosismi, torna a dialogare con la
vita palpitante, con lo stupore delle emozioni, con la tragicità degli eventi.
Al di là delle soluzioni tecnico-artistiche, Decision to Leave gronda
umanità. Non accadeva da tempo.
Il film mette a frutto e rielabora alcune suggestioni visive di Alfred
Hitchcock e Satoshi Kon,
congeniali alla messa in scena di una e più ossessioni, nonché dualismi: la
doppia natura cinese\coreana della protagonista, anche
moglie\assassina\innocente; la doppia natura del detective, coinvolto
sentimentalmente, nonché marito\amante; la detection contrapposta alla
passione, ovvero la logica contro il sentimento, ovvero lo sguardo che si
scinde, si intreccia, ci ipnotizza. Lo sguardo diventa passione, ritorna
logica, è invasivo e potenziato dalla tecnologia: nella messa in scena, al pari
dello sviluppo narrativo, lo sguardo diventa veicolo, supera pareti, trasporta
i personaggi in luoghi impossibili – ma non impossibili per il cinema, per il
montaggio. Ed è proprio nei giochi di prestigio del montaggio, nella
compresenza di personaggi altrimenti distanti nel tempo e nello spazio, che
emerge con forza in Decision to Leave l’impronta
koniana. Park riesce dove Nolan e Aronofsky avevano fallito.
Degli
echi hitchcockiani di Decision to Leave,
probabilmente più evidenti rispetto ai debiti koniani, stupisce la declinazione
non depalmiana, la capacità di Park di plasmare la vertigine in nuove e personali forme. Se uno dei
luoghi simbolici è la montagna del primo omicidio, piace constatare la
compresenza di soluzioni che rimandano sia a Hitchcock sia a Kon, in un
susseguirsi mai gratuito di trompe-l’œil visivi
e narrativi. Non potendo ricorrere al collirio dell’insonne detective Hae-joon,
lo spettatore è quindi chiamato a un complesso lavoro di decostruzione
dell’immagine (e quindi della storia), a un ri-montaggio della presunta realtà.
Come in
un melodramma di Wong Kar-wai, la passione di Hae-joon e Seo-rae deflagra nella
forma, grazie alla forma. A differenza di alcuni lungometraggi precedenti di
Park, che sembravano disinnescare l’afflato drammatico\sentimentale\sensuale
dei suoi personaggi, in Decision to Leave ogni
inquadratura, ogni dettaglio, concorre alla costruzione di una impossibile
storia d’amore: Hae-joon e Seo-rae, che più volte vediamo insieme, vivono in
realtà in due dimensioni diverse, appartengono ad altri destini. Lo vediamo
proprio grazie alle immagini, all’elaborazione ingannevole – ma paradossalmente
sincera e trasparente – delle immagini. Una serie di simboli e di ossessioni,
di gesti ripetuti o eclatanti (il collirio, ma anche l’illogica sfida della
vertigine), ci conducono verso l’unico finale possibile, rendono chiari i
sentimenti di Seo-rae, la sua innocenza. Novella
Kim Novak, Tang Wei è l’attrice che visse due volte, prima e dopo Lussuria, prima e dopo Decision to Leave.
Pubblicato
su quinlan.it il 25/05/2022 di Enrico Azzano
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