giovedì 13 aprile 2023

As Bestas di Rodrigo Sorogoyen (2022)

 

Parte come uno conflitto tra popoli diversi. Francesi da una parte, spagnoli da una parte. La separazione in As Bestas diventa ancora più netta rispetto al precedente film di Rodrigo Sorogoyen, Madre, che era ambientato a Vieux-Boucau-les-Bains, comune francese della Nuova Aquitania. L’estraneità, il disagio di non far parte del luogo viene ulteriormente accentuata nel sesto lungometraggio del cineasta spagnolo che di svolge a Bierzo, un piccolo villaggio nella campagna della Galizia. Antoine (Denis Ménochet) e Olga (Marina Foïs) si sono trasferiti lì da tempo, praticano un’agricoltura ecoresponsabile e si occupano della ristrutturazione di case abbandonate per incrementare il ripopolamento e il turismo sul territorio. Attorno a loro però si crea un clima ostile soprattutto da quando hanno deciso di ostacolare un progetto che prevede l’installazione di altre pale eoliche. A rendergli la vita impossibile sono soprattutto due fratelli, i loro vicini di casa.

La guerra è aperta in As Bestas, proprio come nell’esplosiva serie poliziesca Antidisturbios, e comincia già dall’incrocio delle tre lingue: spagnolo, francese, galiziano. Il cavallo bloccato all’inizio del film in ralenti è già un segno premonitore di quello che accadrà. L’inospitalità del luogo richiama la ricerca della violenza come legge personale delle relazioni umane per non farsi sopraffare del cinema di Peckinpah e il paragone più facile va a Cane di paglia. Ma Sorogoyen, rispetto al cineasta statunitense non accumula le situazioni fino a farle esplodere. Lascia piccoli segnali, ma mette già in una situazione di continuo pericolo. Ad Antoine ed Olga può accadere di tutto in qualsiasi momento. Ci sono tentativi di avvicinamento e appianamento dei conflitti e poi una sempre maggiore distanza. È un cinema d’impatto immediato, scritto benissimo (la sceneggiatura, come in tutti gli altri film, è sempre dello stesso regista in coppia con Isabel Peña) in cui vengono a galla gli istinti primordiali come nella caccia al serial killer di Che Dio ci perdoni o nella figura del politico caduto in disgrazia di Il regno. As Bestas crea una tensione pazzesca in un pezzo di territorio, dal bar frequentato da Antoine e i due fratelli allo spazio che divide le abitazioni dei vicini. Una scena di notte, con l’automobile che blocca la strada, conferma tutta la potenza del cinema del regista che non cerca mai inutili soluzioni visionarie o improvvise accelerazioni. Al contrario, tende spesso a ritardare lo scontro fisico. In quel momento lascia la coppia francese con la paura addosso, così come con la figlia della coppia in tutte le sequenze in cui cammina da sola con il cane e incrocia uno dei due fratelli. Non c’è il fiume ma la natura impassibile che diventa una trappola (il bosco) ha più di un eco che rimanda a Boorman in Un tranquillo weekend di paura. In più prosegue il discorso sul concetto di legalità che ha spesso attraversato il suo cinema. In As Bestas la polizia non lascia Antoine ed Olga da soli ma non può intervenire. Una piccola telecamera diventa così l’unica arma possibile.

La follia non è mai esplicitata. Resta lì nel limbo, nei silenzi, nelle facce stranianti, nelle tracce di una malattia sotterranea. Sorogoyen mantiene altissima la temperatura emotiva, sempre surriscaldata proprio perché non spinge mai il piede sull’acceleratore. Anzi rallenta e fa respirare la scena dove è proprio il fatto che non succede niente ad alimentare ulteriormente il crescente nervosismo. Nella seconda parte, anche con le immagini del paesaggio innevato, l’atmosfera si immobilizza senza mai distendersi e Marina Foïs si prende il film, anzi no, glielo affida Sorogoyen, con il suo personaggio spesso in silenzio dove aspetta la prima mossa dell’altro personaggio per agire o reagire. Il litigio in cucina con la figlia è un grandissimo momento di As Bestas e una grande lezione di recitazione. Non sono solo i dialoghi. Ogni singola parola è una lama appuntita. Tutte feriscono. L’ultima uccide?

Pubblicato su sentieriselvaggi.it 12 Aprile 2023 di Simone Emiliani

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Con As bestas Rodrigo Sorogoyen indaga ancora l’animo umano, la sua progressiva discesa verso la follia più inarrestabile, con i barbarici istinti primordiali che affiorano dal subconscio. Thriller tesissimo, sempre sul punto di esplodere, As bestas è la conferma del grande talento del regista spagnolo. Tra le première di Cannes, ma avrebbe meritato il concorso.

I francesi Antoine e Olga si sono trasferiti da alcuni anni in un paesino della Galizia, con lo scopo di praticare agricoltura eco-sostenibile e di ristrutturare le vecchie case abbandonate in modo da favorire il ripopolamento della zona, che soffre di una diaspora dovuta alla povertà e al fatto che le giovani generazioni non vogliono seguire le precedenti nel lavoro della terra, o nella pastorizia. La maggior parte della popolazione locale ha accolto bene i due francesi, i cui ortaggi sono anche particolarmente apprezzati (“quelli di Antoine sono i migliori pomodori in circolazione”, dice una signora a Olga durante il mercatino settimanale di frutta e verdura). Fanno eccezione due fratelli, Xan e Lorenzo – quest’ultimo rimasto offeso allo sviluppo cerebrale in seguito a un incidente, ma un tempo pare fosse un ragazzo bellissimo –, che non perdono occasione per provocare Antoine, in particolar modo quando l’uomo si presenta all’unico bar del paese per bersi un bicchiere di vino rosso. Il motivo è presto detto: Antoine e Olga si sono fieramente opposti al progetto di installare nell’area delle pale eoliche, che avrebbe portato agli abitanti un indennizzo economico perché costretti ad abbandonare definitivamente il villaggio. È questa la base portante attorno alla quale ruotano le vicende di As bestas, quarantenne regista spagnolo giunto al sesto lungometraggio e divenuto nel giro di un pugno di film e serie (tra queste ultime in particolar modo la recente Antidisturbios) uno dei nomi più amati dai cinefili europei: titoli come Che Dio ci perdoni, Il regno, e Madre testimoniano quanto siano giustificate le speranze di aver “scoperto” un autore in grado di rinnovare l’immaginario cinematografico continentale. Anche per questo è apparsa in qualche modo irrituale la collocazione che As bestas ha trovato al Festival di Cannes, inserito tra le Première quando avrebbe meritato a detta di tutti di prendere parte al concorso principale: perfino il delegato generale del festival Thierry Frémaux, presentando il film in sala, è parso giustificarsi asserendo che la produzione avesse sottoposto tardi l’opera al comitato di selezione, quando il concorso era già praticamente chiuso. Che ciò sia o meno vero è indiscutibile come la visione di As bestas resterà come uno dei momenti topici dell’edizione 2022 della kermesse francese.

Sorogoyen apre il suo film riprendendo degli “aloitadores” che catturano e domano dei cavalli selvaggi potendo contare esclusivamente sulle loro mani nude: una volta sottomesso al cavallo viene rasata la criniera e apposto un marchio. La ripresa è al ralenti, da un lato per rimandare a una dimensione epica, dall’altro per sottolineare l’irrealtà del momento in cui l’uomo crede di poter dominare e gestire la natura, solo ricorrendo alla propria forza bruta. Senza aver ancora mostrato i suoi personaggi il regista spagnolo ha già delineato di fronte agli occhi dello spettatore ciò che accadrà in scena, vale a dire la progressiva follia umana che retrocede alla bestialità più ancestrale per paura e desiderio: paura dell’altro, e desiderio di sottomissione, di conquista. Le montagne brulle della Galizia, le fattorie quasi irraggiungibili, le mandrie al pascolo, la quasi totale mancanza di tecnologia, tutto riconduce alla wilderness del western, e d’altro canto As bestas è la rappresentazione crudele, perfino spietata, di un duello senza fine, ma che potrebbe esplodere in qualsiasi momento e deflagrare con tutta la sua dirompente violenza, vale a dire quello che oppone il corpulento ma ben disposto Antoine ai fratelli Xan e Lorenzo. Il primo è lo straniero, che è venuto a spezzare l’ordine naturale delle cose, i secondi sono il frutto della terra – non a caso Xan è un nome tipico galiziano, Lorenzo il nome di uno dei santi più venerati e amati in Spagna –, anche se non i “migliori”. Sorogoyen è bravissimo a gestire una tensione latente ma sempre percepibile, e ogni inquadratura sembra sul punto di conflagrare, come se l’immagine non potesse essere contenuta all’interno di un quadro: in tal senso appare quantomai puntuale ed evocativa la splendida locandina approntata per il film, e che rimanda idealmente a un punto chiave della narrazione, dove non a caso il movimento di macchina è uno zoom in avanti che chiude sempre di più le possibilità allo sguardo, rendendo impossibili vie di fuga o d’aria di ogni tipo.

Se è impossibile, durante la visione di As bestas, non far correre la mente in direzione del Peckinpah di Cane di paglia o del Boorman di Un tranquillo weekend di paura, film in cui la natura aspra e barbarica dei luoghi penetra in profondità nell’animo dei personaggi, fino a guidarli alla disfatta che è anche trionfo – trionfo dell’immagine come unica rappresentazione legittima della violenza –, si possono trovare punti di contatto anche con Il vento fa il suo giro, il film con cui esordì alla regia Giorgio Diritti e che resta tutt’oggi il parto migliore e più convincente del cineasta bolognese. Ma la vera forza di As bestas sta nella capacità di Sorogoyen di non lasciarsi andare al medesimo istinto bestiale che affligge i suoi personaggi: mentre la slavina avanza la regia non diventa rapsodica ma continua a trattenere in sé quella violenza, rifiutandosi di mostrarla o di farla montare in modo definitivo e irreparabile (e infatti i video con cui Antoine documenta i dispetti sempre più feroci cui è vittima restano quasi del tutto invisibili, e la polizia non interviene mai in modo concretamente risolutore). Si resta così continuamente in una situazione sospesa, senza fiato, angosciati da un thriller che rinnega i punti cardine del genere per annichilire lo spettatore, sfiancandolo esattamente come si fa con i cavalli selvaggi. Poi, senza entrare nel dettaglio della trama, c’è un improvviso cambio di ritmo, di prospettiva, di aria. E Sorogoyen pone al centro dello sguardo un personaggio rimasto fino a quel momento nelle retrovie, per dimostrare come esistesse un fuori campo. Esiste sempre un fuori campo, qualcosa che è distante dal quadro e non si riesce a mettere a fuoco, o forse non lo si vuole farlo. In quel campo sempre più ristretto invece permane la violenza, che non può far altro che sclerotizzarsi, fino alle estreme conseguenze. Lezione di regia e di narrazione, As bestas è la definitiva consacrazione di un regista sorprendente.  L’intero cast è straordinario, ma merita un plauso particolare Denis Menochet, a dir poco superlativo nel ruolo di Antoine.

Pubblicato su quinlan.it 28/05/2022 di Raffaele Meale

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