The story of supersized jazz orchestras is not pretty. The scene was set by the bleaching deracination of Paul Whiteman and the elephantine bombast of Stan Kenton, bandleaders whose craving for approval by the music establishment fatally compromised their art. Good taste came later with leaders such as Carla Bley and London's Keith Tippett, who proved that, in the right hands, swing and nuance could co-exist with size and power.
Since
around 2010, there have been some exciting developments in Scandinavia, too.
One of these was Norwegian drummer Gard Nilssen's shortlived Supersonic
Orchestra. With only sixteen members, the ensemble did not literally qualify as
supersized, but within that sixteen were three double bassists and three
drummers. Scaled up, the lineup would have numbered close to a hundred and,
meanwhile, when required, the impact of the triple-strength bass and drums
sections alone was akin to that of a lightning bolt. Supersonic, which was
bankrolled by the Molde International Jazz Festival in 2019, only released one
album, If You Listen Carefully the Music Is Yours (Odin, 2020), and it is a
widescreen technicolour epic.
Another
Scandinavian outfit of note is Fire! Orchestra, a mainly Swedish affair formed
around 2000 by reeds player and baritone saxophone Jedi Mats Gustafsson,
bassist Johan Berthling and drummer Andreas Werliin. Echoes, the orchestra's
seventh album, has a 43-piece lineup (almost as many as Tippett's Centipede).
Fire! has a
reputation for high-decibel, shamanic free-jazz designed to shave your ass. But
it is in reality a nuanced affair that also counts melodicism, groove and
subtlety among its charms. It is these last three qualities which define the 2CD
/ 3LP, 110-minute Echoes. Sure, there are a few moments of full on, turned up
to eleven, Sun Ra Arkestra-esque space chords. But they are infrequent and
mostly crop up on the second CD during the fifth and sixth of the seven
"Echoes" around which the album is built. Each of the seven is
anchored to a loping bass and drums groove, meaning that no matter how out
things (occasionally) get, one always knows where one is, and that is among
friends on a metaphorical dancefloor.
Check out
opener "Echoes: I See Your Eye Part 1" on the YouTube clip below. The
sense of space is immense, created by a string quartet (whose two violins and
two cellos are recorded so as to sound more like a chamber orchestra), an
irresistible, roomy groove, and Gustafsson's rough-hewn baritone saxophone.
(The track resonates strongly with baritone saxophonist Alessandro Meroli's
quasi-orchestral score for an imagined movie, Notturni, released in 2020 on
Italian label Space Echo). Not everybody is on mic on this or most of the other
tracks on the album. Sometimes, as in the second and fourth "Echoes,"
they sound like they might be. At other times, particularly in the interludes
between the "Echoes," smaller breakout groups are featured: hand
drums and African chordophones, a string quartet, electronica.
Echoes
delivers an unbroken arc of adventure, wonder and fun.
Pubblicato su www.allaboutjazz.com
di Chris May , March 31, 2023
-----------------------------------
Quella dei tre Fire! Mats Gustaffson (sax), Johan Berthling
(basso) e Andreas Werliin (batteria), titolari della sigla e inequivocabili
perni anche della formazione allargata denominata giustamente Orchestra, sembra
sempre una sfida con se stessi, uno spostare l’asticella sempre oltre i propri
limiti e insieme un superamento continuo di quegli stessi limiti alla ricerca
perenne di una musica realisticamente senza confini.
Architrave dell’intero lavoro è la title track, divisa
(forse sarebbe meglio destrutturata) e rifratta in ben sette distinti movimenti
dai 7 ai 15 minuti, mentre alle restanti tracce, tutte di durata sensibilmente
inferiore, sembra lasciato quasi lo scomodo ruolo di intermezzi, anche se
libertà, eterogeneità e afflato iper-sperimentale (dalle contaminazioni
jazz-elettroniche ai dialoghi quasi astratti tra strumenti) li fanno valere più
di semplici raccordi.
Un rigore geometrico o matematico questo della struttura
dell’album che mal si addice al senso di libertà che pervade il lavoro, perché
la sua spina dorsale, appunto, ben definita nelle volute, variazioni, aggiunte,
smarcamenti via via impresse a Echoes, risiede nell’atteggiamento free
dell’ensemble, sempre pronto a tratteggiare umori e suggestioni ruotanti
intorno a una idea quanto meno mobile, dinamica, aperta, appunto, di jazz.
Basterebbero le due Echoes iniziali, I See Your Eye pt. 1 e
Forest Without Shadows a definire il quarto passo dell’Ochestra, tante e tali
sono le direttrici, le traiettorie, gli approcci che il mastodontico ensemble
pone in scena, con la prima a crescere suadente e lenta, aggrovigliante come
fosse un boa constrictor gentile e affabile guidato dalla incessante batteria
di Berthling e ondivaga nel suo esplodere e acquietarsi, allargare l’orizzonte
sonoro e improvvisamente richiamare al dettaglio; e la seconda a screziare
quella idea di suono con un taglio percussivo più afro su cui i fiati e gli
archi vanno e vengono, ora orchestrali, ora minimali, a un certo punto gravi e
quello dopo gioiosi e in fuga liberatoria.
Se non siete ancora (o già) appagati, arriva la terza
Echoes. To Gather It All. Once a non fare prigionieri grazie al featuring
vocale di Mariam Wallentin, che sussurra e guida un pezzo genericamente
soul-jazz tanto notturno quanto suadente nel suo accumulo strumentale via via
in crescendo al punto che, quando intorno alla metà prendono il sopravvento i
fiati, vengono in mente ossimori come una sorta di Morphine big brass band
fissata con gli ensemble aperti di jazz avventuroso dei ‘60/’70, tradizione a
cui l’Orchestra si rifà dichiaratamente.
Si sarà capito che di carne sul fuoco ce n’è a dismisura;
che l’afflato è spregiudicatamente avventuroso e i risultati più che eccitanti
e vari, muovendosi tra momenti di eccitazione free e più placide introspezioni,
tra fraseggi quasi afrobeat o spiritual e distese ambient-jazz; che l’Orchestra
rappresenta la summa di tre musicisti in stato di grazia con una visione
davvero totalizzante e insieme aperta della nozione di jazz e che, infine,
Echoes rappresenta probabilmente uno dei vertici della “rinascita” jazz che
stiamo a vario titolo e a varie longitudini ammirando da un buon decennio in
qua.
Pubblicato su sentireascoltare.com di STEFANO PIFFERI , 13 APRILE 2023
Nessun commento:
Posta un commento