giovedì 13 aprile 2023

Fire! Orchestra - Echoes (2023)

 


The story of supersized jazz orchestras is not pretty. The scene was set by the bleaching deracination of Paul Whiteman and the elephantine bombast of Stan Kenton, bandleaders whose craving for approval by the music establishment fatally compromised their art. Good taste came later with leaders such as Carla Bley and London's Keith Tippett, who proved that, in the right hands, swing and nuance could co-exist with size and power.

Since around 2010, there have been some exciting developments in Scandinavia, too. One of these was Norwegian drummer Gard Nilssen's shortlived Supersonic Orchestra. With only sixteen members, the ensemble did not literally qualify as supersized, but within that sixteen were three double bassists and three drummers. Scaled up, the lineup would have numbered close to a hundred and, meanwhile, when required, the impact of the triple-strength bass and drums sections alone was akin to that of a lightning bolt. Supersonic, which was bankrolled by the Molde International Jazz Festival in 2019, only released one album, If You Listen Carefully the Music Is Yours (Odin, 2020), and it is a widescreen technicolour epic.

Another Scandinavian outfit of note is Fire! Orchestra, a mainly Swedish affair formed around 2000 by reeds player and baritone saxophone Jedi Mats Gustafsson, bassist Johan Berthling and drummer Andreas Werliin. Echoes, the orchestra's seventh album, has a 43-piece lineup (almost as many as Tippett's Centipede).

Fire! has a reputation for high-decibel, shamanic free-jazz designed to shave your ass. But it is in reality a nuanced affair that also counts melodicism, groove and subtlety among its charms. It is these last three qualities which define the 2CD / 3LP, 110-minute Echoes. Sure, there are a few moments of full on, turned up to eleven, Sun Ra Arkestra-esque space chords. But they are infrequent and mostly crop up on the second CD during the fifth and sixth of the seven "Echoes" around which the album is built. Each of the seven is anchored to a loping bass and drums groove, meaning that no matter how out things (occasionally) get, one always knows where one is, and that is among friends on a metaphorical dancefloor.

Check out opener "Echoes: I See Your Eye Part 1" on the YouTube clip below. The sense of space is immense, created by a string quartet (whose two violins and two cellos are recorded so as to sound more like a chamber orchestra), an irresistible, roomy groove, and Gustafsson's rough-hewn baritone saxophone. (The track resonates strongly with baritone saxophonist Alessandro Meroli's quasi-orchestral score for an imagined movie, Notturni, released in 2020 on Italian label Space Echo). Not everybody is on mic on this or most of the other tracks on the album. Sometimes, as in the second and fourth "Echoes," they sound like they might be. At other times, particularly in the interludes between the "Echoes," smaller breakout groups are featured: hand drums and African chordophones, a string quartet, electronica.

Echoes delivers an unbroken arc of adventure, wonder and fun.

Pubblicato su www.allaboutjazz.com  di Chris May , March 31, 2023

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Quella dei tre Fire! Mats Gustaffson (sax), Johan Berthling (basso) e Andreas Werliin (batteria), titolari della sigla e inequivocabili perni anche della formazione allargata denominata giustamente Orchestra, sembra sempre una sfida con se stessi, uno spostare l’asticella sempre oltre i propri limiti e insieme un superamento continuo di quegli stessi limiti alla ricerca perenne di una musica realisticamente senza confini.

 Nel caso specifico di questa esperienza e di questo disco, la durata e la line-up credo rappresentino un record per i pur fluviali scandinavi: quasi due ore di musica prodotta con un ensemble di ben 43 musicisti (più mr. Jim O’Rourke dietro la consolle a “supervisionare” tutto) con una ampiezza della tavolozza a disposizione che predispone sin da subito l’ascoltatore a un tale accumulo di input e suggestioni da cui è difficile staccarsi.

Architrave dell’intero lavoro è la title track, divisa (forse sarebbe meglio destrutturata) e rifratta in ben sette distinti movimenti dai 7 ai 15 minuti, mentre alle restanti tracce, tutte di durata sensibilmente inferiore, sembra lasciato quasi lo scomodo ruolo di intermezzi, anche se libertà, eterogeneità e afflato iper-sperimentale (dalle contaminazioni jazz-elettroniche ai dialoghi quasi astratti tra strumenti) li fanno valere più di semplici raccordi.

Un rigore geometrico o matematico questo della struttura dell’album che mal si addice al senso di libertà che pervade il lavoro, perché la sua spina dorsale, appunto, ben definita nelle volute, variazioni, aggiunte, smarcamenti via via impresse a Echoes, risiede nell’atteggiamento free dell’ensemble, sempre pronto a tratteggiare umori e suggestioni ruotanti intorno a una idea quanto meno mobile, dinamica, aperta, appunto, di jazz.

Basterebbero le due Echoes iniziali, I See Your Eye pt. 1 e Forest Without Shadows a definire il quarto passo dell’Ochestra, tante e tali sono le direttrici, le traiettorie, gli approcci che il mastodontico ensemble pone in scena, con la prima a crescere suadente e lenta, aggrovigliante come fosse un boa constrictor gentile e affabile guidato dalla incessante batteria di Berthling e ondivaga nel suo esplodere e acquietarsi, allargare l’orizzonte sonoro e improvvisamente richiamare al dettaglio; e la seconda a screziare quella idea di suono con un taglio percussivo più afro su cui i fiati e gli archi vanno e vengono, ora orchestrali, ora minimali, a un certo punto gravi e quello dopo gioiosi e in fuga liberatoria.

Se non siete ancora (o già) appagati, arriva la terza Echoes. To Gather It All. Once a non fare prigionieri grazie al featuring vocale di Mariam Wallentin, che sussurra e guida un pezzo genericamente soul-jazz tanto notturno quanto suadente nel suo accumulo strumentale via via in crescendo al punto che, quando intorno alla metà prendono il sopravvento i fiati, vengono in mente ossimori come una sorta di Morphine big brass band fissata con gli ensemble aperti di jazz avventuroso dei ‘60/’70, tradizione a cui l’Orchestra si rifà dichiaratamente.

Si sarà capito che di carne sul fuoco ce n’è a dismisura; che l’afflato è spregiudicatamente avventuroso e i risultati più che eccitanti e vari, muovendosi tra momenti di eccitazione free e più placide introspezioni, tra fraseggi quasi afrobeat o spiritual e distese ambient-jazz; che l’Orchestra rappresenta la summa di tre musicisti in stato di grazia con una visione davvero totalizzante e insieme aperta della nozione di jazz e che, infine, Echoes rappresenta probabilmente uno dei vertici della “rinascita” jazz che stiamo a vario titolo e a varie longitudini ammirando da un buon decennio in qua.

Pubblicato su sentireascoltare.com di STEFANO PIFFERI ,  13 APRILE 2023

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