da www.sentieriselvaggi.it
, 22 Maggio 2019 di Simone Emiliani
La strada, gli interni. Dove c’è spesso qualcosa che viene
nascosta. Il cinema del coreano Bong Joon-ho è spesso pieno di zone d’ombra.
Che si possono manifestare a livello più intimista come in Mother. Ma che
possono costituire anche il nucleo narrativo principale (i delitti di Memories
of Murder). Oppure manifestarsi anche al livello di spazi. Il treno di
Snowpiercer sembra avereuna conformazione più irregolare nello scantinato di
Parasite. Però appaiono luoghi infiniti. Che dietro una porta, se ne apre ancora
un’altra.
Forse anche Parasite, come The Host, è un film di mostri.
Si, non è sci-fi. Anche se il titolo potrebbe ingannare. Perchè dietro ogni
volto dei protagonisti, sembra nascondersene un altro. Quasi satanico. Come se
fossero pronti a un’improvvisa mutazione. Questo sicuramente avviene per tutta
la famiglia Ki-taek. Vive in uno scantinato, cerca ai collegarsi a qualunque
wi-fi degli altri. E padre, madre e i due figli sono tutti disoccupati. Il
figlio però trova un impiego come insegnante di inglese della figlia della
ricca famiglia Park. Visti gli ottimi risultati, riesce a far assumere tutti
gli altri. Poi però, una scoperta inaspettata scatena una serie di eventi
incontrollabili.
Dopo la trasferta statunitense di Snowpiercer e Okja, il
cineasta coreano torna in patria con una commedia nera che si mescola alla
satira sociale. Dove ogni azione sembra tutta controllata al millimetro.
Soprattutto nella scena dove le due famiglie si trovano, all’insaputa
dell’altra, nello stesso soggiorno. Lo scarto sociale è diretto. Ed entra in
gioco un’altro elemento di Bong Joon-hoo, ossia quello dell’identità. I Ki-taek
guardano i Park per prenderne il posto. Il metodo è sicuro. Anche funzionale.
Ma schematico. C’è spesso un’inquadratura di troppo nel suo cinema, una
disperazione e, insieme, un umorismo sempre controllati. Una recitazione nella
recitazione che diventa ripetitiva una volta svelato il gioco. Traiettorie
geometriche che poi si spezzano come nella festa del bambino. E in cui scatena
quel delirio che puzza ancora di forma. Cerca continuamente lo spiazzamento.
Anche con l’uso di brani particolari come In ginocchio da te di Gianni Morandi.
Ma in realtà la strada è molto sicura. Non c’è nessuna intenzione di smarrirsi.
Bong joon-ho usa i suoi protagonisti come pedine per il suo
gioco al massacro. Haneke non è poi così lontano. Ricicla il proprio
immaginario visivo come nella scena della pioggia che ha allagato l’abitazione
dei Ki-taek. Nella distinzione di classe non gli interessa il mistero
del’ottimo Burning di Lee Chang-dong, in concorso proprio l’anno scorso. E le
sue famiglie sembrano lì proprio per il tempo del film. Nascono e muoiono con
lo script. Tutto all’opposto di quelle di Kore-eda. Di cui si vorrebbe vedere
la vita che c’era prima e quella dopo.
da www.quinlan.it,
23 Maggio 2019 di Enrico Azzano
Ki-taek,
Chung-sook, Ki-jung e Ki-woo. Padre, madre, figlia e figlio. La famiglia
di Ki-taek è molto unita, ma sono tutti disoccupati, vivono in un appartamento
fatiscente e sembrano condannati a un futuro desolante. Grazie alla
raccomandazione di un amico, studente in una prestigiosa università, il giovane
Ki-woo riesce a ottenere un lavoro ben retribuito: sarà l’insegnante d’inglese
di Da-hye, figlia adolescente della ricca famiglia Park…
Che cos’è Parasite?
Una prima possibile risposta.
Il musicarello è un sottogenere cinematografico italiano, in
gran voga negli anni Sessanta. Il termine è gergale, un po’ come i sandaloni,
ma calza a pennello. Ci son passati un po’ tutti: Domenico Modugno, Fred
Buscaglione, Adriano Celentano, Mina, Teddy Reno, Tony Dallara, Little Tony,
Bobby Solo, Caterina Caselli e via discorrendo. Sì, anche Gianni Morandi. Tra i
vari registi che hanno frequentato il genere, Ettore M. Fizzarotti è stato tra
i più prolifici, quello con la produzione più significativa: Una lacrima sul
viso (1964), Non son degno di te (1965), Perdono (1966), Stasera mi butto
(1967), per citarne alcuni. Poi, certo, anche In ginocchio da te (1964) con
Gianni Morandi, Laura Efrikian, Margaret Lee e Nino Taranto. Rapidamente sulla
trama: Gianni parte per Napoli per il servizio militare, si innamora di Carla,
la figlia del maresciallo, ma la tradisce con la bella e soprattutto ricca
Beatrice. Ovviamente tornerà, in ginocchio da lei. Il film è un veicolo
pubblicitario per l’omonima canzone, e viceversa. La differenza di classe, le
frizioni pur ingenue e pallidissime tra poveri e ricchi, è un tema ricorrente
nei musicarelli.
Che cos’è Parasite?
Una seconda possibile risposta.
Volendo impuntarsi su Noi (US), horror apertamente e
splendidamente socio-politico, potremmo sottolineare alcune smagliature
narrative, forzature che fanno parte del gioco e che giustificano allegramente
la sagace struttura geometrica messa in piedi da Jordan Peele. Un sotto-sopra
tagliente, rabbiosa metafora di una società spietata e impermeabile. Quasi
impermeabile. Molte domande restano lì, sospese: in fin dei conti, ci si
riempie gli occhi col quadro generale, con l’intuizione narrativo-schematica, e
si può sorvolare a cuor leggero sulle falle dei due meccanismi.
In Snowpiercer la lotta di classe era lineare, vagone dopo
vagone. Un film muscolare con qualche crepa nella scrittura e nella sua geometrica
struttura. L’idea della possibile via d’uscita, anche se intrisa di improbabile
ottimismo, rendeva monca la metafora socio-politica e imperfetta la relativa
linearità.
Imperfezioni spazzate via dall’ultimo tassello di Bong
Joon-ho: Parasite si inserisce in una poetica che si nutre da sempre di
politica, stratificazioni, schemi e circolarità (ad esempio, i finali di The
Host e Memories of Murder). Uno sguardo umanissimo e al contempo da puntiglioso
entomologo – la sequenza degli scarafaggi, la corsa a quattro zampe su per le
scale.
Che cos’è Parasite?
Una terza possibile risposta.
Nel finale di Una vita difficile di Dino Risi, Magnozzi
(Alberto Sordi) rifila un celeberrimo ceffone all’affarista carogna Bracci,
facendolo finire in piscina. Un finale liberatorio, consolatorio, ma non
esattamente un lieto fine. Nel cinema sudcoreano, in particolare nella trilogia
della vendetta di Park Chan-wook, il riscatto è inevitabilmente intriso di
violenza e passa spesso attraverso qualche lama affilata – emblematica la
sequenza di Mr. Vendetta in cui un disperato ex-dipendente di Park Dong-jin si
autoinfligge con un coltellaccio delle terribili ferite, mentre Park lo osserva
con glaciale noncuranza. Il Park di Mr.Vendetta è il talentuosissimo Song
Kang-ho, capo della sbalestrata famiglia di Parasite. Vendetta e riscatto hanno
varie forme, motivazioni e cause scatenanti.
Che cos’è Parasite?
Una quarta possibile risposta.
Di Parasite ci porteremo dietro/dentro alcune immagini.L’incipit,
il primo fotogramma: i calzini stesi – odore e profumo sono una questione di
classe. La sequenza della corsa notturna lungo quelle interminabili scale,
quasi una discesa agli inferi che traccia la distanza tra ricchi e poveri. A
ognuno il proprio posto. Con buona pace di Peele.
Il disco di In ginocchio da te, una perfetta parte per il
tutto: l’abuso di inglesismi, le lezioni di espressione artistica, la musica
lirica, l’incapacità di saper realmente valutare il valore degli oggetti, di un
dipinto, della preparazione di una persona, ma anche di un piatto. Levigata
apparenza e profonda ignoranza.
Il codice Morse, perché la lotta di classe è anche lotta
contro se stessi. Spesso si perde.
Parasite è una commedia, un thriller, un dramma. È la
calzante rappresentazione della nostra società, delle sue dinamiche – un po’
paradossalmente (ma nemmeno troppo), è anche la fotografia della rigida
struttura gerarchica di Cannes, della divisione in caste e delle stesse lotte
intestine tra le caste, tra i fantomatici colori dei badge. Barking Dogs Never
Bite. È cinema ricco di invenzioni e intuizioni narrative, apparentemente
debordanti, eppure perfettamente inserite in uno schema. Nello schema. È Peele,
è Loach, ma con una stordente lucidità e un ritmo travolgente. Si ride, si ride
amaro, poi non si ride più. Bong colpisce duro: il flashback e il flashforward
sono come un uno-due. Destro e sinistro. Al tappeto. Dura rialzarsi.
Nessun commento:
Posta un commento