Presentato in concorso alla Mostra del Cinema di Venezia 2018, Vox Lux è uno A Star Is Born cinico, programmaticamente schizofrenico, smaccatamente ambizioso. Uno sguardo impietoso sulla deriva culturale e politica degli Stati Uniti e del mondo contemporaneo: la giovane Celeste, nel suo percorso da eroina a superstar pop, è Madonna, è Britney Spears, è Miley Cyrus, ed è soprattutto l’incarnazione di un vuoto dilagante, della mutazione genetica dei valori, della cancrena del mondo dello spettacolo (dove spettacolo sono anche politica e informazione). Esteticamente e narrativamente debordante, fertilmente trieriano.
Erano elevate le attese per l’opera seconda di Brady Corbet,
che nel 2015 aveva sbancato Orizzonti con l’ambizioso e potente The Childhood
of a Leader. Tre anni dopo, potenza e ambizione restano intatte: presentato in
concorso (e accolto da non pochi fischi), Vox Lux è un lavoro complesso,
stratificato, persino intricato. Martellante, come la sua colonna sonora.
Impietoso nella sua analisi, nella lettura della realtà e della Storia recente.
Una parabola morale, estetica, culturale. Una parabola ovviamente discendente,
luciferina.
Vox Lux indaga i lati oscuri taciuti dall’innocuo A Star Is
Born, è una sorta di trasversale biopic del pop e di Madonna (e Britney Spears,
e Miley Cyrus), è il punto di arrivo di un percorso iniziato con l’edonismo
reaganiano. È l’America che ha perso ripetutamente la sua innocenza, tragedia
dopo tragedia, risveglio dopo risveglio: una lenta ma inesorabile discesa
morale che ha radici lontane, interne, come il brutale omicidio della famiglia
Clutter (1959), la morte di JFK (1963), il Vietnam (1965/75) e poi, via via,
fino all’11 settembre 2001 e oltre. Corbet unisce una lunga serie di puntini:
il massacro della Columbine High School, le Torri Gemelle, l’agonia
dell’informazione e del mondo dello spettacolo, la perdita dell’innocenza di
una nazione, il dilagare del cinismo (social), la sconfitta del talento. Cinema
di contenuti, ma anche di messa in scena, altrettanto ambiziosa, elaborata,
spavalda. Tra gli altri, riecheggia prepotentemente von Trier. Notevole.
1986. Madonna pubblica il suo terzo album, True Blue. Per la
prima volta, un album di una cantante entra direttamente alla numero 1 nella
Billboard Top 200. È nata una stella. Nello stesso anno, nella storia quasi
vera di Vox Lux, nasce Celeste.
1999. I giovani Eric Harris e Dylan Klebold entrano a
scuola, armati fino ai denti. È il 20 aprile, il giorno del tristemente noto
massacro della Columbine High School. Lo abbiamo visto in Elephant di Gus Van
Sant, lo ha raccontato a suo modo Michael Moore con Bowling for Columbine. In
un’altra cittadina, in un’altra scuola, lo rimette in scena Corbet: lo vive,
sopravvivendo, Celeste. La brava, buona, morigerata Celeste.
Prologo, primo atto, secondo atto, epilogo. Vox Lux
scandisce soprattutto il tempo degli Stati Uniti, le sue ferite visibili e
invisibili. Anche quelle lontane, come l’attentato a Sousse (Tunisia), qui
diventata Croazia. Spiaggia, mare, ombrelloni, mitra e cadaveri.
Come nel precedente The Childhood of a Leader, la pellicola
è cadenzata in atti. Una scelta elegante ma non gratuita, funzionale anche alle
ampie ellissi narrative, ai balzi spazio-temporali, alle mutazioni fisiche,
caratteriali, etiche. Come la voce narrante, evidentemente d’ispirazione
trieriana – è di Willem Dafoe, non sembra un caso, come la presenza di Stacy
Martin. Una sequenza mirabile tra le tante: il soggiorno a Stoccolma, un
passaggio fondamentale, il punto di non ritorno. Corbet lo risolve con la voce
narrante che segue e illumina uno sfrenato fast forward: la ragazzina religiosa
è pronta per costruire una nuova Chiesa.
Genesi e Rigenesi. Primo e secondo atto. I passaggi da
vittima a carnefice, da ragazzina di provincia a (abbondantemente sovrastimata)
star del pop, sono intrisi di intuizioni estetiche e narrative. Forma e
contenuto. Ancora una volta, preziosissime, le noti stordenti di Scott Walker.
E poi la glaciale messa in scena del primo massacro, il dinamismo frenetico del
secondo. Slittamenti stilistici e di senso. E di costume, di informazione. Di estetica
imperante.
Vox Lux accatasta una sorprendente quantità di materiale, di
riflessioni e intuizioni. Riporta sullo schermo le Torri Gemelle, gioca con i
suoi attori (Raffey Cassidy, giovane volto da seguire con attenzione), rallenta
e accelera, tratteggia sconfitte e sconfitti che riportano a Viale del
tramonto, a Eva contro Eva a È nata una stella. Ci mostra il dietro le quinte
dello Show, ci mostra il trionfo del Nuovo Testamento di Celeste. Il trionfo
del vuoto, del nulla. Il proseguimento del reaganismo, il tradimento degli anni
Settanta. L’epilogo è abbacinante, come la performance di Natalie Portman nella
sua triplice veste di Madonna/Spears/Cyrus. Lei che è stata il cigno di
Aronofsky (Black Swan). Lei che può tutto. Bravissima.
pubblicato su quinlan.it il 9 Ottobre 2018, di Enrico Azzano
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