Émilie è una giovane di origine cinese che vive a Parigi, nel 13esimo arrodissement, nell’appartamento della nonna, da tempo in ospedale malata di Alzheimer. Per gestire economicamente l’appartamento mette un annuncio al quale risponde Camille, un afrodiscendente che deve iniziare a insegnare in un liceo lì vicino. Tra i due scatta la scintilla erotica, ma solo Émilie è davvero innamorata. Nel frattempo nel quartiere si trasferisce da Lione anche Norma, decisa a riprendere gli studi universitari nonostante abbia trentatré anni… [sinossi]
Émilie si innamora di Camille, hanno rapporti sessuali ma
lui non è davvero innamorato tanto che la lascia per una collega del liceo,
prima di lasciare a sua volta l’insegnamento, lavorando nell’agenzia
immobiliare di un amico dove conosce Norma, che è arrivata a Parigi da Lione
per riprendere gli studi universitari che ha però mollato dopo essere stata
vittima di un bullismo collettivo in facoltà vista la sua somiglianza con Amber
Sweet, una celeberrima pornodiva. Camille s’innamora di Norma, ma il rapporto è
frastagliato anche perché la ragazza inizia a incontrarsi la notte con Amber
Sweet in una chat privata… Tutti s’innamorano di tutti, ne Les Olympiades (in
italiano si è scelto un più cacofonico Parigi, 13Arr., forse per evitare
fraintendimenti e rendere chiara l’ambientazione nella capitale francese), ma
soprattutto tutti sembrano alla ricerca di un senso non solo della vita, ma
dell’esperienza collettiva che la vita dovrebbe portare con sé. Già, la vita
collettiva, quel dettaglio che quasi due anni di pandemia ha reciso dalla
memoria del popolo, e che il film – girato in pochissimo tempo a partire da
novembre del 2020 – cerca di ricordare, e di tornare a raccontare, partendo dai
luoghi prima ancora che dagli individui. Una panoramica aerea sulle torri di
Olympiades, con la camera che spia in maniera fuggevole nei diversi
appartamenti: in uno c’è un televisore acceso, in un altro una persona è seduta
al tavolo della cucina. Con uno stacco di montaggio la ripresa da esterna si fa
interna: su un divano Émilie, di origine cinese (taiwanese, per la precisione)
e Camille, afrodiscendente, cantano al karaoke completamente nudi, per poi fare
l’amore. Inizia così la nuova regia di Jacques Audiard selezionata nel concorso
principale del Festival di Cannes. Il ritorno di Audiard sulla Croisette non
poteva di certo passare inosservato: tra tutti i cineasti francesi
contemporanei è infatti quello con il feeling migliore con la kermesse sulla
Costa Azzurra, avendo già vinto in passato la Palma d’Oro con Dheepan, il Grand
Prix della giuria con Il profeta, e il premio per la sceneggiatura con Un héros
très discret.
Pur rientrando perfettamente nella cifra stilistica di
Audiard, come testimoniano gli scarti registici, la scelta delle inquadrature,
il ritmo che muove l’intera struttura, è impossibile non considerare Parigi,
13Arr. come un’opera a sei mani, le cui qualità il regista di Sulle mie labbra,
Tutti i battiti del mio cuore e Un sapore di ruggine e ossa deve
necessariamente condividere con le due cineaste con cui ha collaborato in fase
di scrittura. La sceneggiatura è infatti firmata anche dalla quarantaduenne
Céline Sciamma – già al lavoro in passato per altri, come testimoniano Quando
hai 17 anni di André Téchiné e La mia vita da zucchina di Claude Barras – e
dalla trentaduenne Léa Mysius, autrice in proprio di Ava e Le Cinq Diables ma
sceneggiatrice per Arnaud Desplechin (I fantasmi d’Ismael e Roubaix, une
lumière), Stefano Savona (La strada dei Samouni) e di nuovo Téchiné (L’Adieu à la
nuit). Il quasi settantenne Audiard, per riuscire a raccontare la gioventù
contemporanea, condivide il lavoro con due colleghe di un’altra generazione,
nessuna delle due parigina (Mysius è di Bordeaux, mentre Sciamma è nata a
Pontoise, una quarantina di chilometri a nord della Capitale) ed entrambe nate
quando l’idea di città futura celata nel progetto urbanistico di Olympiades era
stata già ampiamente trasformata in realtà.
Interamente ambientato nel quartiere, con un paio di
capatine che restano comunque nell’arrondissement, Les Olympiades è una
commedia in bianco e nero che si interroga con levità ma non senza lacerazioni
vere o presunte – il senso d’abbandono e di umiliazione che si prova
all’interno di un’umanità che sa dimostrarsi priva del benché minimo accenno di
empatia, come testimonia la triste vicenda che capita alla povera Norma,
colpevole solo di una vaga somiglianza con una pornodiva e per questo presa
d’assalto sui social media – e sembra riallacciarsi all’epoca d’oro del cinema
“indipendente”, tanto d’oltreoceano quanto europeo (e Spike Lee, che esordì con
Lola Darling, potrebbe ritrovarvisi). Un film che però si interroga sull’oggi,
con relazioni umane indecifrabili, amore e desiderio che si confondono, e una
smaterializzazione del contatto che è diventata parte integrante della
quotidianità. Nella dialettica tra dentro e fuori, tra esteriorità e intimità,
tra spazio pubblico e privato, Audiard trova il modo di riflettere sulla
multiculturalità e pone al centro della questione un mondo femminile che
reclama a gran voce il proprio spazio – emblematicamente anche l’unico uomo
della contesa, Camille, ha un nome accostabile all’universo muliebre. Ma se la
tecnologia può indurre a un’idea di vicinanza anche quando si è distanti
chilometri (il rapporto amicale e affettivo tra Norma e Amber Sweet nasce via
chat, Émilie si “vendica” dell’addio di Camille grazie a un’app di incontri e
all’inizio del film lavora in un call center) è ancora la relazione fisica
l’unica vera dimostrazione di umanità, e lo testimonia anche il pugno in pieno
volto con cui Norma saluta una delle compagne d’università che l’avevano presa
pesantemente in giro esponendola al pubblico ludibrio. Traendo ispirazione
dalla raccolta di racconti a fumetti Morire in piedi di Adrian Tomine, Audiard
celebra la rinascita alla vita, e dunque all’amore, e lo fa con una levità che
contagia in profondità lo sguardo dello spettatore, cercando la libertà
nell’imponenza della struttura – di nuovo, il ricorso al rigore della bicromia
– seguendo esattamente lo schema che spinse Michel Holley a progettare
Olympiades, creando un quartiere che potesse attrarre i giovani professionisti,
e la modernità. Oggi che anche il professionismo è precario (nel film tutti si
arrangiano come possono, saltando di palo in frasca tanto negli affari
sentimentali quanto in quelli lavorativi) la modernità prorompe con forza da
Parigi, 13Arr., trascinando con sé un’aria di possibilità che suona utopica,
favolistica come il finale dolcissimo del film, eppure non priva di escoriazioni
e cicatrici. Il merito va anche all’ottimo cast dominato dalle luminose
intepretazioni di Lucie Zhang, Makita Samba e Noémie Merlant.
Pubbicato su quinlan.it il 07/16/2021 di Raffaele Meale
Les Olympiades è un distretto del XIII arrondissement di
Parigi, realizzato tra il ’69 e il ’77, al centro di uno dei piani urbanistici
più grandi e ambiziosi della Francia: il progetto Italie XIII che puntava a una
trasformazione radicale della zona intorno ad Avenue d’Italie, a ridosso della
riva sinistra della Senna. Al suo centro, il quartiere concluso disegnato dagli
architetti Michel Holley e André Martinat: sei torri residenziali private, due
torri di alloggi sociali a canone “normale” e tre condomini rettangolari di
edilizia popolare, ad canone d’affitto “moderato”, per un totale di 3400
abitazioni. Nel segno di Le Corbusier, delle sue teorie urbanistiche e unità
d’abitazione. Costruzioni multipiano e modulari, con la ripetizione di elementi
dimensionali regolari e pannelli di facciata di cemento armato. Economia,
ridefinizione e liberazione degli spazi, separazione delle funzioni e del
traffico veicolare dalla circolazione pedonale, nuova organizzazione di
trasporti pubblici. Trionfo dell’architettura moderna… Almeno secondo le
intenzioni, perché, alla fine, non tutto è andato come previsto. Il piano
Italie XII nel corso dei decenni ha avuto rimodulazioni, batture d’arresto, si
è concretizzato solo in parte. Certo, la Dalle des Olympiades sta lì, definisce
il panorama della città con il cemento delle sue torri, ribattezzate con i nomi
delle città ospiti d’olimpiadi, per celebrare i giochi di Grenoble del 1968. Ma
rimane, forse, più come un’affermazione di principio, come un’imposizione
retorica modernista.
“Il tessuto urbano non è più definito dalle strade, ma
dall’ordine delle costruzioni, esse stesse guidate da considerazioni
funzionali”. Questo era l’obiettivo del piano. Il fatto è che questo principio
di razionalizzazione non è servito a rendere la vita più regolare. Il tessuto
urbano, anziché distendersi e rilassarsi, si è aggrovigliato, si è ammassato in
stratificazioni caotiche. E la densità non vuol dire, necessariamente,
vicinanza. Anzi… l’illusione di una separazione funzionale e di una
standardizzazione si è tradotta in un isolamento più profondo, è diventata
ansia di contatto e di prestazione. I moduli sono diventati celle di
reclusione, spazi di paura e solitudine. Se non addirittura di scontro aperto.
Ecco, Jacques Audiard affronta proprio questo nodo. Anche se
sembra metter da parte, per un istante, il suo piglio più bellicoso, quella sua
capacità di sintonizzarsi, come pochi altri, sull’improvvisa esplosione della
guerra quotidiana. Appena velata dietro l’apparente equilibrio della società
multiforme o le convenzioni di genere del milieu, cioè quella latenza inquieta,
in cui le differenze etniche, sociali, economiche, stanno per combinarsi in
scintille impazzite. No, in Parigi, 13arr. si parla d’amore e di amicizia. E
nella scrittura, ispirata ai racconti a fumetti di Adrian Tomine, c’è la
diversa sensibilità di Céline Sciamma e Léa Mysius. Ma ciò non vuol dire che
Audiard rinunci alla sua durezza. Resta un regista di sostanza prima ancora che
di atmosfera, di corpo prima che di mente. Densità, appunto, più che
razionalizzazione. Nei suoi film, le questioni politiche e sociali non fanno
sociologia, non sono mai scienza e teoria, non sono il terreno di
sperimentazione di un pensiero precostituito. Sono storie di vissuti, scelte,
errori, tamponamenti. E il sentimento non è mai sentimentalismo. Né lirica né
elegia né mélo. Perché anche i sentimenti possono essere un combattimento corpo
a corpo, seguire logiche di scontro. Come già si raccontava in Sulle mie labbra
e, ancor più, in Un sapore di ruggine e ossa.
E così le relazioni dei giovani personaggi, tre donne e un
uomo, più che sui toni caldi della passione, della tenerezza, dell’abbandono,
sembrano tarate su uno spettro di gradazioni fredde, quelle dell’opportunismo,
della sessualità meccanica o del rifiuto del corpo, della negazione e del
distacco. Dietro lo schermo di un computer o di uno smartphone, al riparo di
una parrucca, stare centrati su sé stessi, stabilire regole, distanze, cambiare
casa o partner come si cambia un abito, evitare ogni coinvolgimento, ritrarsi
nell’attimo in cui si avverte un minimo scricchiolio non previsto, un piccolo
cedimento del cuore. Inseguire un accumulo compulsivo: degli incontri, delle
esperienze, delle attività… Ma è come se tutto dovesse sottostare a un
imperativo di dissimulazione. Negare, negare sempre, anche il dolore, la
rabbia. Il terrore del vuoto.
Già. C’è un che di respingente e spigoloso in Parigi,
13arr., nonostante quell’elegante bianco e nero, quasi garreliano. Dove sì,
ogni differenza è solo sfumatura, scala di grigio, ma al tempo stesso tutto
pare dissanguarsi, perdere intensità. Per somma ironia, resta a colori solo
l’esibizione porno live di Amber Sweet. Ma quel bianco e nero è anche una
patina di immagine classica che crea un inevitabile scarto con il linguaggio
tutto moderno delle nuove connessioni, con il ritmo delle musiche di Rone. Come
a dire che, sebbene cambino le forme, l’amore è ancora il tormento e il piacere
di un’infinita ronde. Émilie, Camille, Nora, Amber si inseguono, si urtano, si
perdono e si ritrovano. Colpo dopo colpo, la crepa si allarga e fa male come un
pugno. Spunta un grumo di sangue denso e nero, autentico. Ma nell’intensità di
dolore, si aprono squarci di estasi, lampi di profezia. E momenti di felicità
assoluta.
Titolo originale: Les Olympiades
Regia: Jacques Audiard
Interpreti: Lucie Zhang, Makita Samba, Noémie Merlant,
Jehnny Beth, Camille Léon-Fucien, Océane Cairaty, Anaïde Rozam, Pol White,
Geneviève Doang
Durata: 106′
Origine: Francia, 2021
Pubblicato su sentieriselvaggi.it il 24 Marzo 2022 di Aldo
Spiniello
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