Il capitalismo digitale come un’illusione. Forse un trucco. Un allestimento. Come il cinema e/o l’immagine audiovisiva di oggi. È del resto già tutto chiaro dalla prima sequenza, in cui il Ceo della società che ha messo sul mercato il dispositivo vocale Kimi, durante un’intervista online, mette in scena un finto studio, con tanto di libreria alle spalle, all’interno di uno scantinato. Uno spazio virtuale dove l’immagine e lo slogan pubblicitario – “il valore di Kimi è garantito dalle persone non dall’algoritmo” – sostituiscono il reale. Da una parte c’è quindi l’immagine sullo schermo, che è quello che vediamo e ci fanno vedere ogni giorno. Dall’altra c’è il fuori campo, anzi il fuori-schermo, dove emerge uno spazio incerto, corrotto, non vendibile sul mercato.
E gli esseri umani? Gli operatori di Kimi lavorano in
smartworking attraverso computer e modem sofisticatissimi, ascoltano le
conversazioni, istruiscono la macchina e risolvono le criticità delle
interazioni vocali, migliorando la qualità del servizio. Ma in fin dei conti
sono degli hacker capaci di manipolare dati e decriptare messaggi. Poi c’è il
fattore umano a stabilire la temperatura etica di questo mondo in cui tutti
spiano e vengono spiati. Ecco allora che l’operatrice Angela, la protagonista
affetta da agorafobia interpretata da Zoe Kravitz, ennesima, complessa eroina
femminile nel cinema di Steven Soderbergh – e qui davvero sarebbe necessario
fare il punto su quanti straordinari personaggi femminili ci ha regalato il
regista americano, dalla Andie MacDowel di Sesso bugie e videotape a Erin
Brockovich, passando per i recenti Unsane e le tre straordinarie protagoniste
di Lasciali Parlare – si imbatte in una registrazione che sembra suggerire
l’omicidio di una donna. La ragazza denuncia il caso alla compagnia, mettendo
così a rischio la sua vita in quella che, dopo una prima parte interamente
girata all’interno della sua abitazione, assume i contorni psicotici di un
vorticoso inseguimento tra grattacieli asettici, google maps, tracciamenti
satellitari.
La distribuzione è streaming HBO Max come ormai accade costantemente con l’autore di Traffic e Ocean’s Eleven. Ma scrive e produce l’esperto David Koepp (Jurassic Park, Carlito’s Way, Panic Room), che porta a casa una sceneggiatura perfetta per “l’unico cineasta possibile del XXI secolo“. Quasi un trattato post-pandemia, sanitaria e tecnologica, che Soderbergh gira con precisione chirurgica e slancio paranoide, in pieno continuità con i classici anni ’70 dei suoi cineasti di riferimento: su tutti il Francis F. Coppola de La conversazione e ovviamente Alan J. Pakula.
Se negli spazi interni simula le prospettive impossibili delle telecamere di sorveglianza, dall’alto e dal basso ma anche con panoramiche che disegnano un set domestico che si rivelerà determinante nel sorprendente finale, nelle scene in esterno per le strade di Seattle spuntano pedinamenti grandangolari che continuano a schiacciare la protagonista in un mondo che si rivela asfissiante e tecnologico anche open air. Insomma Kimi è il documento cyberpunk del nostro tempo. E se Soderbergh, sin dal suo primo film, non ha mai negato la possibilità di una integrazione umanista tra uomo e tecnologia, ecco che questo suo ultimo film si configura come un thriller claustrofobico e orwelliano sul capitalismo della sorveglianza, capace però di lasciare aperto un ultimo spiraglio di umanità, scandito dal libero arbitrio del singolo. Un altro “piccolo” capolavoro clandestino del grande regista americano.
pubblicato su sentieriselvaggi.it, 4 Marzo 2022 di Carlo
Valeri
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