martedì 6 dicembre 2011

Dopo Le Havre anche a Marsiglia un miracolo di solidarietà di classe: “Le nevi del Kilimangiaro”


Ancora un film sulla solidarietà tra i lavoratori, ancora in Francia, ancora in una città di mare, ancora protagonisti i bambini che pagano pesantemente l’incapacità di una società in decadenza di mettere al primo posto la sopravvivenza dei più deboli, ancora protagonista il rapporto tra le generazioni.
Questo è sicuramente un film più neo-neorealista rispetto al sogno senza tempo di Kaurismaki, e si sforza di sceneggiare cosa rimane della coscienza di classe, tra alcuni stereotipi come quello del vecchio sindacalista (buono) della CGT che si trova costretto a rivedere pesantemente cosa significhi oggi la coscienza e la solidarietà di classe, nell’era della rinuncia alla lotta e della perdita progressiva dei diritti dei lavoratori.

Il film mette al centro una questione importante della condizione proletaria/sottoproletaria, quella della scelta estrema per la sopravvivenza, quella per cui a volte la vita ti può costringere a rinunciare ai tuoi buoni propositi e andare contro la morale comune per soddisfare bisogni materiali primari.

Poveri (i giovani operai portuali al limite del precariato) che rubano ai meno poveri (i vecchi operai con i loro privilegi, le loro terrazze sul porto e i loro barbecue) e che accusano questi di stare nelle loro belle case a sorseggiare pastis mentre il sistema sociale per cui hanno lottato si sgretola inesorabilmente.

Sandblow fa nascere il suo soffio da una città portuale molto simile a Le Havre o a Marsiglia. A Genova questo discorso della guerra tra poveri (e tra le generazioni) è un ritornello molto ricorrente. Da molto tempo il camallo o l’operaio metalmeccanico sono visti da molti come i privilegiati, se non proprio il nemico di classe perlomeno i responsabili del declino della città, e non certo dagli armatori e dai padroni, ma dagli altri lavoratori quelli coinvolti nel progressivo processo distruttivo del sistema di garanzie del lavoro, per i quali, vedere e soffrire che una qualsiasi categoria di lavoratori sia in grado di avere ancora una qualche forza contrattuale è più sopportabile che realizzare che esista qualcuno che sta facendo di tutto per toglierti quei pochi diritti e quelle poche garanzie che ti rimangono.

Il film, poetico e commovente, è un invito ad andare a vedere, ogni volta, cosa succede, a non trincerarsi dietro comodi pregiudizi, a recuperare la curiosità e l’istinto della ricerca, di andare ad aprire le porte all’esperienza e alla con-passione con-partecipazione per non cadere nella trappola del tutticontrotutti.

A redimere e dare un senso a tutto ciò, ancora una volta, ci pensano i bambini, quelli che non ne possono niente di tutta questa complessa dinamica sociale, politica ed economica, quelli che hanno bisogno di una buona colazione e di qualcuno che gli rimbocchi le coperte, di uno sguardo di comprensione e soprattutto di azioni di solidarietà.

Certo qui non si parla di lotta di classe ma al ritorno alla povera gente, ai miserabili, ad una condizione preindustriale, insomma, alla barbarie.

Ah certo, poi ci sono le donne……. Ma quello è un altro discorso.

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