pubblicato su sentieriselvaggi.it, di Carlo Valeri – 24 maggio
2019
“Si muore sempre per qualcosa. La morte ci accompagna”
dice Giovanni Falcone a Tommaso Buscetta durante un interrogatorio. Si muore e
basta. Il traditore è quasi un film gemello di Fai bei sogni. È un altro
affresco sulla morte e soprattutto sulla sua (impossibile) rimozione. Il
Tommaso Buscetta di Marco Bellocchio e Pierfrancesco Favino ripete a tutti di
non aver paura di morire, ma viene continuamente risucchiato da una scia
luttuosa che lo insegue fino alla fine dei suoi giorni. I cadaveri delle persone
che ha ucciso, quelli dei figli e dei fratelli, quelli di Falcone e dei
poliziotti uccisi: Il traditore è costellato di morti e funerali. Del resto in
una scena onirica tipicamente bellocchiana è lo stesso Buscetta a immaginare
una cerimonia funebre circondato dai familiari che lo piangono e lo sigillano
in una bara.
Ecco allora che la fotografia di Vladan Radovic sembra
sempre velata dalla cenere, avvolge il film nel grigiore burocratico dei piani
alti del Potere e nell’oscurità di un Paese e di un personaggio memorabile e
ambiguo. Il pentito che con le sue confessioni mise in ginocchio Cosa Nostra
contribuendo all’arresto di almeno trecento mafiosi è un donnaiolo che rifiuta
di invecchiare, si veste come un uomo d’affari, abbandona la Famiglia per
mettersi in proprio e costruire un impero in Brasile, è un gangster che
attraversa due mondi. C’è qualcosa del Carlos di Olivier Assayas nel Buscetta
libertino e “internazionale” de Il traditore – la sceneggiatura è scritta dallo
stesso Bellocchio in collaborazione con Francesco Piccolo, Valia Santella,
Ludovica Rampoldi e Francesco La Licata – in una aperta contrapposizione con lo
psicopatico e moralista Totò Riina, che nelle scena del confronto in tribunale
diventa un duello simbolico tra due tipologie di villain contrapposte e
ostentatamente speculari: l’imprenditore moderno che crede nei vecchi ideali di
onore e diventa eroe mediatico (Buscetta), il boss tradizionalista e ignorante
che vive nell’ombra e cambia le regole uccidendo donne e bambini (Riina).
Dopo Buongiorno Notte, Vincere e Bella addormentata,
Bellocchio aggiunge un altro tassello alla sua personale rivisitazione della
storia d’Italia. Lo fa attingendo al repertorio linguistico e narrativo del
cinema civile per poi comporre una materia tutta sua e firmare quello che per
costi e dimensioni è il film più mainstream della sua carriera. Il montaggio
serratissimo di Francesca Calvelli ci porta inizialmente alla festa di Santa
Rosalia del 1980, dove vengono presentati con i nomi in sovrimpressione i boss
di Cosa Nostra, Riina appunto, Salvatore Contorno, Pippo Calò, Gaetano
Badalamenti. La narrazione attraversa gli anni ‘80 e ‘90, fino all’epilogo nel
2000 ed è scandita da una prima mezz’ora velocissima, violenta e inconsueta per
la filmografia bellocchiana. La prima parte ambientata in Brasile con l’arresto
di Buscetta, le minacce in elicottero e le torture da lui subite sembrano
infatti venire direttamente da un gangster movie sudamericano. Poi arriva la
collaborazione con lo Stato italiano, il rapporto con Falcone raccontato in
poche scene, con stile essenziale, il processo anti-mafia, in cui la macchina
da presa si fa più statica e si ferma a registrare l’ironia tragica e teatrale
di una commedia umana sulla giustizia dove è la parola e il linguaggio a
prendere il sopravvento – memorabile la scena in cui il Contorno interpretato
da Luigi Lo Cascio parla in dialetto siciliano e non viene capito da nessuno.
E
poi Il traditore (il film come il personaggio!) cambia di nuovo registro e il
racconto si concentra sul romanticismo e sui sensi di colpa: Buscetta piange
sui figli che ha lasciato morire durante la sua latitanza e canta Historia de
un amor connotando un’ultima parte che diventa straziante e crepuscolare.
Un film cupo insomma, decisamente bellocchiano. E allo
stesso tempo nuovo e ricco di soluzioni e di tanti possibili film diversi.
Cinema di genere, cinema civile, cinema d’autore. Un ritratto che già
meriterebbe di entrare di diritto nella storia recente del cinema italiano.
1 commento:
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