venerdì 25 novembre 2011

Vent’anni dopo l’officina dei sogni: una riflessione sullo stato del desiderio


Sandblow, e il mio vecchio amico Maxygroove, mi hanno chiesto di aprire a una riflessione a partire da un mio vecchio progetto di ricerca di ormai quasi vent’anni fa. Un progetto sui mondi della comunicazione, della creatività e delle sottoculture a Genova che confluì in un volume edito da Costa&Nolan dal nome “l’officina dei sogni”. Io ammetto che non amo molto parlare di quel lavoro essenzialmente perché i miei due compagni di viaggio in quell’immersione nel mondo della creatività, Maria Teresa e Massimo, mi hanno lasciato da solo ad osservare e vivere questo mondo e parlarne mi apre a nostalgie e malinconie enormi.
In ogni caso ne riparlo volentieri in Sandblow perché mi sembra il luogo più adatto, perché?: perché è un blog, perché è una folata di vento caldo nella sabbia, perché la traccia o la lascia o non la lascia e non è certo quello il problema ma in ogni caso è una fantastica e operosa officina dei sogni.
Vent’anni fa come oggi la domanda è sempre la stessa, perché le persone fanno le cose, quali sono i motori trainanti della creatività, della voglia di esprimere, della fame senza fondo di ricerca e di progetto. Rispetto a vent’anni fa il mondo è cambiato radicalmente, nello stesso tempo si è ampliato e si è ristretto, ha aumentato la profondità di prospettiva ed ha allargato il campo visivo costringendoci tutti, ma proprio tutti, ancora una volta di più a fare conto con la nostra incapacità di contenere il tutto e favorendo cosi continui straboccamenti emotivi, psichici e non di meno creativi.
Nel nostro lavoro le officine dei sogni, che erano tutti quei mondi di produzione culturale e comunicativa underground che avevamo incontrato, le avevamo lette in una formula comparativa/antagonista con l’industria culturale e con un sistema di segni che ancora sembrava destinato a dominare e governare l’immaginario collettivo. 

Oggi non è più cosi, o lo è in parte, sono cambiate le coordinate del sapere e il sistema culturale, cosi come lo conoscevamo, è stato minato alle fondamenta da una serie di processi che hanno ridisegnato il senso stesso di produzione culturale e quindi anche quello di sottocultura o ancor di più di controcultura.
Coloro che coltivano le passioni, le arti e la ricerca sanno che questi percorsi sono fatti di tempo e di parossistica velocità, di capacità di guardare al mondo senza le riposanti lenti del già detto o del già pensato, e di profonda riflessione su se stessi e su quello che li circonda.
Spesso mi è stata fatta la domanda su che cosa potrebbe essere cambiato se rifacessimo oggi quel percorso di ricerca, la risposta è ovviamente composita e se, come ho già detto, è ovvio che il contesto è sicuramente profondamente mutato e cambierebbero, in parte, i nomi e le facce, i temi, le elaborazioni e le prospettive, ma sono sicuro che, oggi come allora, che ancora emergerebbe quello che avevamo definito lo stile del cuore di persone che continuano a credere nella realtà del desiderio e dei sogni, di quel strano gruppo sociale trasversale per classe e generazione che continuano ad averne voglia.
Certo magari sono cambiati gli strumenti e le possibilità, e in cuor mio sono convinto che rispetto a vent’anni fa la scena sarebbe ancora più ricca e stimolante, ma ciò che sono certo che rimane intatta rimasta la voglia di alcuni di mettersi in gioco, di non avere paura e di uscire fuori.
L’unico vero problema? Cosa è quel fuori e forse, alla fine, quel che è giusto fare è quello di rimanere per sempre nel dentro, nel sotto, in quel luogo dove si possono chiamare le persone per nome, investendo energie per amarle e per amare il proprio lavoro, le proprie passioni e le proprie ossessioni, lasciando fuori tutti quelli che non vedono, non sentono e non ricercano.
Comunque per stimolare un po’ di discussione, con chi vorrà avviarla, faccio io un paio di domande ai lettori di Sandblow:
1) cosa rimane? Cosa rimane della voglia,della passione e del desiderio in un mondo che sembra negarti diritto di parola, di azione di crescita e di realizzazione dei propri sogni?
2) Che fare? Cosa fare per realizzare i propri sogni e i propri desideri?
Oggi come allora One Love.
Massimiliano Di Massa

3 commenti:

maxygroove ha detto...

Caro Conte,
certo che è troppo tardi ma da tempo, dal momento in cui hai deciso di dedicare la tua infinita intelligenza e la tua altrettanto infinita sensibilità all'approfondimento del male. Tu sai quanto stiamo in tanti ad aspettare la tua resurrezione e ovviamente, prima, la tua morte.

semper tuo

silvia ha detto...

caro Max,

ricordo L'officina dei sogni in veste di bozze sparse, fogli sciolti che scivolavano dalla tua scrivania di Campopisano al tappeto per le ultime rifiniture.

Ricordo la cover rosa con la foto di Uliano Lucas.

Ricordo il tuo, il vostro entusiasmo per le interviste che raccoglievate una per una: avevi un registratore a nastri piccoli che oggi potrebbe essere un reperto da museo.

Ricordo la serata di presentazione del libro, un evento vero, ricchissimo, con tanto di spattcoli che erano, ciascuno di per sé, un evento nell'evento, come era giusto che fosse dal momento che il libro era un contenitore di creatività.

Ecco, più ci penso, più faccio fatica a risponderti cosa rimane.

20 anni dopo mi sembra tutto più polverizzato e polveroso.

Consumato senza essere nemmeno vissuto fino in fondo, come se le cose si bruciassero nello spazio stesso del loro accadere.

Succede ovviamente anche nella creatività che non a caso ha visto (ri)esplodere la performance nell'arte, il blog nella scrittura, il dj-ing nella musica.

Succede perché questo cazzo di sistema ci ha fottuto due risosre piuttosto preziose: il tempo (di preparazione, attesa, godimento, discussione) e la libertà di pensiero, quella delle voci fuori dal coro, persone sufficientemente consapevoli da poter sopravvivere al mi piace/non mi piace.


Forse stasera sono più fottuamente malinconica del solito. O forse, come dice il conte, sono semplicemente invecchiata.

Ma alla tua domanda
"cosa rimane" della voglia e della passione, mi viene da rispondere soltanto "una folata d vento calda nella sabbia".

Confezionata però con un packaging inattaccabile.

one love

silvia

Barney ha detto...

Ho letto le tue riflessioni Max, e improvvisamente mi sono ricordato che io, che non ho partecipato (purtroppo) a quella stagione perchè ero ancora foresto (savonese come uno dei tuoi due compagni d'avventura), avevo da qualche parte quel famoso libro. Lo avevo perchè me lo aveva regalato Maria Teresa quando alla vecchia feltrinelli di via Bensa io iniziavo il mio mestiere e lei inveve (che tristezza..) finiva la sua esperienza. Ricordo ancora la dedica "a Fabio, fine trovator di libri". Trovator e non conoscitor, ero giovane e lei di certo non mi voleva illuderere, era giusto così. Quel libro l'ho cercato per giorni, e non lo trovo più....
Sarà un caso, ma corrisponde al fatto che per me poco resta di quei tempi, il mondo è cambiato e faticosamente cerco gli appoggi per capirlo.
Cosa fare? non lo so, io continuerò a cercare quel libro....