mercoledì 2 novembre 2011

Principianti - l'esile filo di Raymond

A vent'anni dalla prematura scomparsa esce in versione originale l’opera di Raymond Carver formata da diciassette racconti editati all'inizio degli anni ottanta sotto il titolo "Di cosa parliamo quando parliamo d'amore". A differenza delle precedenti versioni, corrette per non dire amputate da Gordon Lish, suo agente letterario e assertore di un minimalismo ai limiti della castrazione letteraria, il nuovo testo ci mette di fronte all’originale gamma poetica di Carver.

Grazie a un linguaggio ellittico, non superficiale, di accenni, descrizioni appena abbozzate, Carver ci introduce nella vita quotidiana dell’altra America, quella dello spreco, del proletariato, dei sogni infranti; quell’America i cui protagonisti sono accerchiati da mille paure e insicurezze, dal bisogno di essere amati, dall’ansia di trovare una redenzione alle proprie colpe e di riuscire a iniziare un percorso di assoluzione, di salvezza. Così i personaggi di Carver vivono tutti una sensazione di vuoto e di perdita sia individuale che collettiva che si presenta in modo diverso ma con un comune denominatore che è quello dell'attesa di qualcosa che è in procinto di accadere e che può considerarsi già catastrofe.

Al disperato urlo di solitudine che echeggia in ogni pagina si unisce una claustrofobica atmosfera di deja vu , dentro cui per esempio si muove una coppia all'interno di uno spazio domestico che ha sempre, nella sua narrazione, una parte attiva e che ci fornisce attraverso la sua descrizione la storia e ci indica, con i suoi oggetti, la successione nel tempo delle vicende. Gli oggetti che popolano l'esterno o l'interno della casa non sono infatti semplici suppellettili quotidiani ma possiedono una particolare potenzialità che serve a completare il disagio interiore dei personaggi, come il frigorifero che improvvisamente si rompe, il televisore che sveglia in modo brusco il protagonista o il telefono che squilla in un momento inopportuno, per non parlare delle bottiglie di alcol che circolano e si inseriscono in ogni contesto come un sommesso e continuo accompagnamento musicale.

Mai fino ad ora mi era capitato di percepire come nei racconti di Carver la presenza imponente di una coscienza “universale” che alita sul corpo dei personaggi, li incalza, li opprime, li sottopone a giudizio e quasi sempre li trova colpevoli. Si termina un racconto con l’amaro in bocca, con lo scritto che lascia sul campo i dispiaceri di una vita inespressa o relegata ai margini. Non si può non domandarsi se il dolore non sia la sola cosa al mondo che la gente possegga davvero, se lo stato d’animo prevalente non sia quello del rimpianto e della malinconia per qualcosa che è passato o non è mai esistito.
Carver dipinge con pochi colori una tela che non vedrà mai il suo pieno compimento, un astratto disegno che lascia intravedere come il tragico tentativo di dare un senso alla vita sia anche l’unico appiglio a cui attaccarsi.

1 commento:

Roberto Gallino ha detto...

Ringrazio Matteo Casali per il primo post "ospite" dei collaboratori di sandblow. Post che verte proprio su uno dei miei scrittori preferiti, Raymond Carver, banalmente etichettato come lo scrittore che diede il "la" alla nascita del minimalismo, in cui vennero inseriti autori come B.E. Ellis e e J. Mcinerney. Data la presenza del cinema, ad oggi, come elemento preponderante di sandblow, ricordo che il grande Robert Altman si ispirò e trasse l'epico "America oggi" proprio dai racconti di Carver presenti in "Cattedrale. Ancora un grazie a Matteo per la sua lucida "lettura" di uno dei più importanti autori dei questo secolo.