mercoledì 15 agosto 2012

...ha scritto un noir?!.... "Vizio di Forma" di Thomas Pynchon (2011)


Qual è il confine tra un lettore, un’attento lettore, un fanatico della letteratura che arriva a disprezzare il suo personalissimo sacro scrittore perché decide di sposare un genere cui mai si era avvicinato prima ? Il mio amico libraio mi riportò le espressioni, verbali e non,  stravolte, scandalizzate ed incredule di alcuni suoi clienti che si accingevano all’acquisto di “Vizio di forma”, l’ultima opera di Thomas Pynchon, uscita oltre un anno fa per la collana Stile Libero di Einaudi...gli aneddoti che si possono ascoltare in una libreria si narrano spesso come fonte di inaudita comicità.... L’incredulità nasceva dal plot di “Vizio di Forma (Inherent Vice)” , dato che dall’autore di romanzi assunti allo status di classici quali “V” e “L’Arcobaleno della Gravità”, uno dei “maestri” della letteratura americana postmoderna, - termine roboante in cui hanno trovato riparo grandissimi autori , quali ad esempio J. Cheever e D. De Lillo, solo per citarne alcuni – nessuno si sarebbe mai aspettato un noir, un omaggio psichedelico a scrittori come  Dashiell Hammett e Raymond Chandler, ambientato negli ultimi giorni dell’era hippie di Los Angeles.
Doc Sportello,  è un investigatore privato che vive una città-paradiso per freaks e disadattati che vivono al di fuori della legge, come se questa non fosse mai stata inventata, con il volume sulla musica surf che fa da colonna sonora alla quotidianità, infarcita di nuovi arrampicatori sociali, di gangster che cercano di ripulire le proprie malefatte compiute in un mondo colmo di lussi ed eccessi, di poliziotti che tentano la scalata nel mondo del cinema. Incaricato di indagare sulla scomparsa di un costruttore miliardario, Sportello si troverà coinvolto  in una cospirazione dove si muovono immobiliari senza scrupoli, neo-nazisti,  le Pantere Nere, Charles Manson fino ad una serie di bislacchi personaggi divertenti, compresa una associazione di dentisti assassini.
So perfettamente le ire funeste che attirerò affermando che ho sempre trovato in Pynchon (eccezion fatta per il personalmente splendido “L’incanto del lotto 49”) i personaggi e la scrittura dei suoi romanzi come eventi linguistici di altissima classe, ma nello stesso tempo autoreferenziali, immaginandomi lo scrittore nell’atto di leccarsi le labbra come puro atto di autocompiacimento per le pagine appena scritte, senza però quel cuore che, almeno nella mia sentimentale idea di scrittura,  dovrebbe sempre battere sulle pagine di ogni romanziere.  Allora perché ho letto/leggere Pynchon ? Perché molti passaggi di “V” , “Vineland” sono davvero splendidi, per la sua capacità di descrivere le cose più improbabili come pura quotidianità, perché “L’incanto del lotto 49” è uno dei miei libri preferiti.
Quello che molti lettori, me compreso ovviamente, contestano al misterioso autore americano (niente interviste, nessuna notizia sulla vita privata, pur avendo sfiorato più volte il Pulitzer,) è appunto la scioltezza del linguaggio, quella scioltezza che pur essendo la grande novità di “Vizio di forma”, è anche la fonte delle sue debolezze più evidenti, quella scioltezza che fa cadere a pezzi molti passaggi che tentano di generare effettivamente suspense, la parte fondamentale di un noir, ricadendo nella trappola di semplici eventi linguistici e congiunzioni di sillabe. Ma la stessa assenza di fluidità narrativa, spesso posta come  problema della distinzione tra coincidenze e cospirazioni della trama stessa, riesce stranamente ad evidenziare il cambiamento dei tempi, quella California anni ’70, descritta per anni come il Luogo di espressione e libertà,  del come tutto muta rapidamente, più di quanto ci si possa aspettare,  con metodi specifici dettati da occulti oppressori (Internet-Arpanet che appare nel romanzo in una versione nascente, come il giocattolo di un tecno-hobbista) per il loro obiettivo generale: chiudere le frontiere della propria coscienza per sempre, rendendo spesso la vita sotto l’ombra impossibile di regni nascosti. Quegli stessi giochi di potere, quella fantomatica perdita di innocenza, non solo della storia americana moderna, ma della storia tout court, che James Ellroy aveva magnificamente descritto in “American Tabloid” nel 1995.

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