Qual è il confine tra un
lettore, un’attento lettore, un fanatico della letteratura che arriva a
disprezzare il suo personalissimo sacro scrittore
perché decide di sposare un genere cui mai si era avvicinato prima ? Il mio
amico libraio mi riportò le espressioni, verbali e non, stravolte, scandalizzate ed incredule di
alcuni suoi clienti che si accingevano all’acquisto di “Vizio di forma”,
l’ultima opera di Thomas Pynchon, uscita oltre un anno fa per la collana Stile
Libero di Einaudi...gli aneddoti che si possono ascoltare in una libreria si narrano spesso come fonte di inaudita comicità.... L’incredulità nasceva dal plot di “Vizio di Forma (Inherent
Vice)” , dato che dall’autore di romanzi assunti allo status di classici quali
“V” e “L’Arcobaleno della Gravità”, uno dei “maestri” della letteratura
americana postmoderna, - termine roboante in cui hanno trovato riparo
grandissimi autori , quali ad esempio J. Cheever e D. De Lillo, solo per
citarne alcuni – nessuno si sarebbe mai aspettato un noir, un omaggio
psichedelico a scrittori come Dashiell
Hammett e Raymond Chandler, ambientato negli ultimi giorni dell’era hippie di
Los Angeles.
Doc Sportello, è un investigatore privato che vive una città-paradiso
per freaks e disadattati che vivono al di fuori della legge, come se questa non
fosse mai stata inventata, con il volume sulla musica surf che fa da colonna sonora alla quotidianità, infarcita di nuovi
arrampicatori sociali, di gangster che cercano di ripulire le proprie malefatte
compiute in un mondo colmo di lussi ed eccessi, di poliziotti che tentano la
scalata nel mondo del cinema. Incaricato di indagare sulla scomparsa di un
costruttore miliardario, Sportello si troverà coinvolto in una cospirazione
dove si muovono immobiliari senza scrupoli, neo-nazisti,
le Pantere Nere, Charles Manson fino ad
una serie di bislacchi personaggi divertenti, compresa una associazione di
dentisti assassini.
So perfettamente le ire
funeste che attirerò affermando che ho sempre trovato in Pynchon (eccezion
fatta per il personalmente splendido “L’incanto del lotto 49”) i personaggi e la
scrittura dei suoi romanzi come eventi linguistici di altissima classe, ma
nello stesso tempo autoreferenziali, immaginandomi lo scrittore nell’atto di
leccarsi le labbra come puro atto di autocompiacimento per le pagine appena
scritte, senza però quel cuore che,
almeno nella mia sentimentale idea di scrittura, dovrebbe sempre battere sulle pagine di ogni romanziere. Allora perché ho letto/leggere Pynchon ?
Perché molti passaggi di “V” , “Vineland” sono davvero splendidi, per la sua
capacità di descrivere le cose più improbabili come pura quotidianità, perché
“L’incanto del lotto 49”
è uno dei miei libri preferiti.
Quello che molti lettori,
me compreso ovviamente, contestano al misterioso autore americano (niente
interviste, nessuna notizia sulla vita privata, pur avendo sfiorato più volte
il Pulitzer,) è appunto la scioltezza del linguaggio, quella scioltezza che pur
essendo la grande novità di “Vizio di forma”, è anche la fonte delle sue
debolezze più evidenti, quella scioltezza che fa cadere a pezzi molti passaggi
che tentano di generare effettivamente suspense, la parte fondamentale di un
noir, ricadendo nella trappola di semplici
eventi linguistici e congiunzioni di sillabe. Ma la stessa assenza di
fluidità narrativa, spesso posta come problema della distinzione tra coincidenze e
cospirazioni della trama stessa, riesce stranamente ad evidenziare il
cambiamento dei tempi, quella California anni ’70, descritta per anni come il Luogo di espressione e libertà, del
come tutto muta rapidamente, più di quanto ci si possa aspettare, con metodi specifici dettati da occulti oppressori
(Internet-Arpanet che appare nel romanzo in una versione nascente, come il
giocattolo di un tecno-hobbista) per il loro obiettivo generale: chiudere le
frontiere della propria coscienza per sempre, rendendo spesso la vita sotto l’ombra
impossibile di regni nascosti. Quegli stessi giochi di potere, quella fantomatica
perdita di innocenza, non solo della storia americana moderna, ma della storia tout
court, che James Ellroy aveva magnificamente descritto in “American Tabloid”
nel 1995.
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