mercoledì 29 agosto 2012

un disco non propriamente estivo... Dead Can Dance "Anastasis" (2012)


http://www.youtube.com/watch?v=BNxa0odpCJU


Il ritorno sulle scene musicali dei Dead Can Dance mi ha riportato, per qualche momento, a molti anni fa, ai ricordi di una Genova che ora mi sembra così lontana, una Genova in cui anche un ventenne affamato di musica come il sottoscritto, riusciva ad ascoltare i propri miti musicali dell’epoca, una Genova che viveva di luoghi di aggregazione, che non fossero solo anonimi bar da aperitivo, luoghi come lo Psyco, il teatro Albatros, il cinema-teatro Verdi, il Dlf. Una Genova che raccoglieva, a seconda dell’evento, decine o centinaia di giovanie entusiasti, e non solo, che aspettavano con trepidazione di vedere ed ascoltare sul palco della propria città gruppi e nomi d'Oltremanica, d'oltreoceano,  assurti in quel periodo ad icone musicali vere e proprie, senza dover per forza macinare chilometri per andare a Milano o in altre città della penisola.
Capita spesso, con chi ha condiviso le stesse passioni, di ricordare quella Genova, che vista oggi sembra un’altra città per chi, come il sottoscritto, ormai ha raggiunto e passato anagraficamente i tanto vituperati ‘anta, quindi anche a chi ha meno voglia di vivere la notte o ha voglia di viverla in altri modi. Una città in cui oggi non esistono più spazi di quel genere, teatri piuttosto che cineclub, qualcuno chiuso, altri trasformati in tristi supermarket o in luoghi senza identità. Una città, che parlando oggi con chi opera nell’ambito della cultura, con chi tenta o vuole proporre alternative alla sterilità del panorama musicale, teatrale, cinematografico odierno, non trova più spazi dove proporsi e proporre, ma neanche disponibilità da parte del pubblico, mosso da quello spirito che animava le notti genovesi degli ’80 e dei ’90, quello spirito che si intravede in un numero sempre più ridotto di persone, cui sembra mancare  l’entusiasmo che leggevo dipinto sui volti di chi incontravo a quegli eventi. Dal momento che questa vuole essere una segnalazione di un’uscita discografica, scendo dall’eventuale piedistallo sul quale mi sono appoggiato per qualche istante, non volendo assolutamente criticare ne pubblico od operatori del settore. Persone/personaggi che oggi vedo personalmente muoversi, con fatica e abnegazione, nel versante della cultura, sia per proporre che per ricevere; si sa, quando si parla di ricordi, di miti generazionali, c’è sempre una tendenza a denigrare l’attuale e voler riportare in auge un passato assurto a propria personale  “epoca”. Non è questa l’intenzione, semmai solo quella di voler, ancora una volta, ricordare quell’ Officina dei Sogni come propulsore di creatività ed emozioni.
Questo nostalgico prologo è dovuto al ricordo di un bellissimo concerto che i Dead Can Dance tennero a Genova, se ben ricordo, verso il finire degli anni ’80 al teatro Verdi di Sestri Ponente, con un mio conoscente che si presentò al concerto dotato di un enorme e bellissimo mazzo di fiori che donò, emozionato, a Lisa Gerrard, stupenda voce femminile del duo intestato anche a Brendan Perry. Un’ensemble che, erroneamente inserito nel filone dark britannico imperante in quegli anni, pubblicati  da un’etichetta di culto del periodo come la 4AD (cercatevi le stupende copertine o rispolverate il catalogo tra nomi come This Mortal Coil, Cocteau Twins o Modern English) univa tappeti sonori di folk gaelico, canti gregoriani, mantra del Medio Oriente e inserti classici. Premesso che la discografia dei Dead Can Dance è facilmente reperibile digitando la tastiera del vostro laptop o pc, il nuovo album “Anastasis” , a distanza di ben 16 anni dall’ultimo disco, non aggiunge purtroppo nulla di nuovo rispetto a ottimi titoli quali “Garden of the Arcane Delights” dell’84 o “Within the Realm of a Dying Sun” dell’87.
Forse l’estate non è il periodo più indicato per avvicinarsi a questo tipo di sonorità, ma ad un primo ascolto “Anastasis” sembra risentire, e non positivamente, delle esperienze successive e individuali del duo, anche come autori di colonne sonore per film di successo come “Il Gladiatore” di R. Scott, in cui la magia di quei suoni eterei, esploratori per alcuni versi oscuri di certa world music, si sia smarrita, non solo per cercare di arrivare al grande pubblico, ma molto più semplicemente si sia inaridita  ed assottigliata la vena creativa. Rimangono intatte,  e qualche volta emozionanti, le orchestrazione miscelate con i ritmi del Nord Africa, così come il canto della Gerrard è potente ed evocativo, ma è difficile,  personalmente,  sentire che tutto funzioni veramente a livello creativo ed emozionale.
La musica, si sa, è anche un fattore emotivo, e spesso si è portati a cambiare idea a seconda del proprio mood, e riascoltare “Anastasis” tra qualche mese potrebbe farmi/farci cambiare idea.

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