Avrei voluto iniziare questo
post non dilungandomi (gesto evidentemente non riuscito) su cosa è, cosa è
stata e cosa è oggi la musica techno, i suoi rapporti con eventi come le tanto
decantate “summer of love”, la “club culture”, la stretta connessione con
l’utilizzo di droghe – elemento mai assente nel mondo musicale, del jazz come del
rock - e la ricerca dello sballo. Personalmente,
alcuni anni fa, è stata il classico fulmine a ciel sereno, qualcosa di
dirompente, una lama affilata che squarciava - seppur in diversi contesti e distanti
tra loro, con le stesse vibrazioni attinenti al
punk, alla new wave - l’asettico panorama della musica pop e non solo,
nonostante lo scetticismo di certa critica snobistica, che la relegava, come
per anni è stato fatto per la musica black, a sola pura musica da ballo, non
indagando sui luoghi, sul periodo, sulla necessità dei suoi precursori di
creare, o ricreare, qualcosa di diverso, generato dall’urgenza di comunicare
con un linguaggio nuovo, che scoppiò a Detroit a metà degli anni '80.
Per chi fosse curioso di
approfondire un genere che ha comunque lasciato un segno indelebile nei
padiglioni auricolari degli ascoltatori più curiosi, lascio che a raccontarlo
siano amici come il sito www.frequencies.it,
libri come “Mondo Techno” (2006, ediz. Sconcerto) di Andrea Benedetti,
“Generation Ecstasy” tradotto in Italiano in un infelice e ruffiano “Generazione Ballo/Sballo” (Arcana Ediz.,
2000) di uno dei più importanti critici musicali quali Simon Reynolds – per gli
appassionati consigliatissimi i suoi titoli pubblicati da ISBN, quali
“Post-Punk”, “Hip-Hop Rock” e “Retromania” – il dvd “High Tech Soul: The
Creation of Techno Music” (2006), un ottimo e anche divertente documentario che
prova a tracciare la storia della techno music, della stessa Detroit, con
interviste e filmati a pionieri del genere quali Juan
Atkins, Kevin Saunderson, Derrick May, Jeff Mills, Richie Hawtin e molti altri.
Il mio pensiero su cosa sia
diventata la techno oggi, piuttosto che l’house, è assai offuscato e
sicuramente non positivo, vuoi per “raggiunti limiti di età”, che vogliono dire
allontananza dai club e dalle notti danzerecce, dai festival dove regna
sovrana, deformata da luoghi-baracconi quali Ibiza, piuttosto che altre famose
località di villeggiatura, dove le discoteche sono diventate vere e proprie
fabbriche di denaro, che alternano numi tutelari del genere a personaggi assurti
al ruolo di star, che definire artisti suona offensivo. L’attualità vede oggi
una produzione enorme di generi e sotto-generi di suoni elettronici, di brani
forgiati in tempi rapidissimi, che riempono le charts di riviste e siti dedicati, Beatport su tutti, suonati
ma appena ascoltati da centinaia di
pseudo-dj. Dj distanti anni luce dalla ricerca e dal divertimento che animava i
loro predecessori, rimasti oggi icone di un universo musicale che li spinge sì a
restare sui palcoscenici mondiali, ma per molti di essi senza quella carica
dirompente che li rese punti di riferimento per un suono che ha comunque
regalato innovazione e gioia al proprio pubblico.
Come nell’arte tutta capita,
fortunatamente, di imbattersi in produzioni di alta qualità, di rinnovamento
(un importante capitolo a parte da affrontare sarebbe il crossover che
musicisti elettronici coniugano con il repertorio e compositori classici, dalle
riletture per piano di Francesco Tristano di brani come “Strings of Life” di D.
May , all’ensemble di Craig e Moritz Von Oswald con un’orchestra da camera che si
intreccia con suoni sintetici andando a toccare rielaborazioni di numi tutelari
come Luciano Berio, alla collana “ReComposed” dell’etichetta per eccellenza
della musica classica Deutsche Grammophon, che affida addirittura il suo sacro
catalogo e composizioni di Maurice Ravel e Mussorgsky a dj o produttori elettronici quali Matthew
Herbert, Jimi Tenor e il già citato Carl Graig, atto visto come una sorta di
sacrilegio, piuttosto che di rottura di schemi obsoleti, a seconda degli
ascoltatori) come poter attirare anche
un pubblico non avezzo a queste sonorità, produzioni che fanno tirare un
sospiro di sollievo nell’asfittico mondo della musica elettronica. Una di
queste è il nuovo album del croato Petar Dundov, un disco distante dal
dancefloor, un vero antidoto per chi pensa che la musica techno o elettronica
sia noiosa, insensata, ripetitiva; anche un disco che guarda con intelligenza al
passato, a precursori come Klaus Schulze, i Tangerine Dream, alla più lieve
marzialità dei primi Kraftwerk, alle sonorità ambientali di Brian Eno, ai ritmi
di Giorgio Moroder (
“I Feel Love” e Donna Summer), fino a certa interessante “pomposità” di Jean-Michel
Jarre. So che qualche purista potrà resterà inorridito per alcuni dei suddetti
artisti, ma guardare al passato è un normalissimo percorso musicale, fenomeno
assolutamente naturale per continuare ad ascoltare rock, jazz, piuttosto che musica
contemporanea.
Dopo un singolo di successo
come “Oasis”, anch’esso stranamente assai distante dal noioso 4/4 senza idea
degli attuali inni house o techno oggi reperibili in un numero indefinito, ma
che ha fatto di Dundov un nome di rilievo anche nei più importanti festival
musicali del genere, “Ideas From The Pond”
– uscito sull’etichetta Music Man di un altro dei grandi “vecchi” produttori
del genere come Robert Hood - riesce
ad ampliare gli orizzonti di ciò che ci si dovrebbe aspettare dal genere. Un suono sempre in espansione, che
aumenta di intensità, rompendo finalmente i confini della ristrettezza della
pista da ballo, concedendo il ritmo per i piedi e la testa praticamente solo in
“Brownian interplay”, cercando di comunicare emozioni e tappeti sonori adatti
ad un ascolto gradevole e profondo, attraverso il brano omonimo o “Together”,
utilizzando suoni che riportano ai sintetizzatori analogici di oltre vent’anni
fa, come ai ritmi “spezzati” o leggiadri di numeri
uno, seppur non nati negli anni ’00, come LFO, Sabres Of Paradise e
Aphex Twin. Una ipotetica colonna sonora adatta sia per un film di fantascienza
come per un percorso sonoro di una
mostra.
Mi auguro e vi auguro un buon
ascolto, sperando di aver innescato una sana curiosità su tanti dei nomi
citati, ascoltabili e visibili su YouTube, piuttosto che nell’infinito universo
delle web-radio.
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