mercoledì 29 agosto 2012

…se vogliamo ancora definirla techno… Petar Dundov - Ideas From The Pond (2012)



Avrei voluto iniziare questo post non dilungandomi (gesto evidentemente non riuscito) su cosa è, cosa è stata e cosa è oggi la musica techno, i suoi rapporti con eventi come le tanto decantate “summer of love”, la “club culture”, la stretta connessione con l’utilizzo di droghe – elemento mai assente nel mondo musicale, del jazz come del rock - e la ricerca dello sballo. Personalmente, alcuni anni fa, è stata il classico fulmine a ciel sereno, qualcosa di dirompente, una lama affilata che squarciava - seppur in diversi contesti e distanti tra loro, con le stesse vibrazioni attinenti al  punk, alla new wave - l’asettico panorama della musica pop e non solo, nonostante lo scetticismo di certa critica snobistica, che la relegava, come per anni è stato fatto per la musica black, a sola pura musica da ballo, non indagando sui luoghi, sul periodo, sulla necessità dei suoi precursori di creare, o ricreare, qualcosa di diverso, generato dall’urgenza di comunicare con un linguaggio nuovo, che scoppiò a Detroit a metà degli anni '80.
Per chi fosse curioso di approfondire un genere che ha comunque lasciato un segno indelebile nei padiglioni auricolari degli ascoltatori più curiosi, lascio che a raccontarlo siano amici come il sito www.frequencies.it, libri come “Mondo Techno” (2006, ediz. Sconcerto) di Andrea Benedetti, “Generation Ecstasy” tradotto in Italiano in un infelice e ruffiano  “Generazione Ballo/Sballo” (Arcana Ediz., 2000) di uno dei più importanti critici musicali quali Simon Reynolds – per gli appassionati consigliatissimi i suoi titoli pubblicati da ISBN, quali “Post-Punk”, “Hip-Hop Rock” e “Retromania” – il dvd “High Tech Soul: The Creation of Techno Music” (2006), un ottimo e anche divertente documentario che prova a tracciare la storia della techno music, della stessa Detroit, con interviste e filmati a pionieri del genere quali Juan Atkins, Kevin Saunderson, Derrick May, Jeff Mills, Richie Hawtin e molti altri.
Il mio pensiero su cosa sia diventata la techno oggi, piuttosto che l’house, è assai offuscato e sicuramente non positivo, vuoi per “raggiunti limiti di età”, che vogliono dire allontananza dai club e dalle notti danzerecce, dai festival dove regna sovrana, deformata da luoghi-baracconi quali Ibiza, piuttosto che altre famose località di villeggiatura, dove le discoteche sono diventate vere e proprie fabbriche di denaro, che alternano numi tutelari del genere a personaggi assurti al ruolo di star, che definire artisti suona offensivo. L’attualità vede oggi una produzione enorme di generi e sotto-generi di suoni elettronici, di brani forgiati in tempi rapidissimi, che riempono le charts di  riviste e siti dedicati, Beatport su tutti, suonati ma appena ascoltati da centinaia di pseudo-dj. Dj distanti anni luce dalla ricerca e dal divertimento che animava i loro predecessori, rimasti oggi icone di un universo musicale che li spinge sì a restare sui palcoscenici mondiali, ma per molti di essi senza quella carica dirompente che li rese punti di riferimento per un suono che ha comunque regalato innovazione e gioia al proprio pubblico.
Come nell’arte tutta capita, fortunatamente, di imbattersi in produzioni di alta qualità, di rinnovamento (un importante capitolo a parte da affrontare sarebbe il crossover che musicisti elettronici coniugano con il repertorio e compositori classici, dalle riletture per piano di Francesco Tristano di brani come “Strings of Life” di D. May , all’ensemble di Craig e Moritz Von Oswald con un’orchestra da camera che si intreccia con suoni sintetici andando a toccare rielaborazioni di numi tutelari come Luciano Berio, alla collana “ReComposed” dell’etichetta per eccellenza della musica classica Deutsche Grammophon,  che affida addirittura  il suo sacro catalogo e composizioni di Maurice Ravel e Mussorgsky a dj o produttori elettronici quali Matthew Herbert, Jimi Tenor e il già citato Carl Graig, atto visto come una sorta di sacrilegio, piuttosto che di rottura di schemi obsoleti, a seconda degli ascoltatori) come  poter attirare anche un pubblico non avezzo a queste sonorità, produzioni che fanno tirare un sospiro di sollievo nell’asfittico mondo della musica elettronica. Una di queste è il nuovo album del croato Petar Dundov, un disco distante dal dancefloor, un vero antidoto per chi pensa che la musica techno o elettronica sia noiosa, insensata, ripetitiva; anche un disco che guarda con intelligenza al passato, a precursori come Klaus Schulze, i Tangerine Dream, alla più lieve marzialità dei primi Kraftwerk, alle sonorità ambientali di Brian Eno, ai ritmi di Giorgio Moroder ( “I Feel Love” e Donna Summer), fino a certa interessante “pomposità” di Jean-Michel Jarre. So che qualche purista potrà resterà inorridito per alcuni dei suddetti artisti, ma guardare al passato è un normalissimo percorso musicale, fenomeno assolutamente naturale per continuare ad ascoltare rock, jazz, piuttosto che musica contemporanea.   
Dopo un singolo di successo come “Oasis”, anch’esso stranamente assai distante dal noioso 4/4 senza idea degli attuali inni house o techno oggi reperibili in un numero indefinito, ma che ha fatto di Dundov un nome di rilievo anche nei più importanti festival musicali del genere,  “Ideas From The Pond” – uscito sull’etichetta Music Man di un altro dei grandi “vecchi” produttori del genere  come Robert Hood -  riesce ad ampliare gli orizzonti di ciò che ci si dovrebbe aspettare dal genere. Un suono sempre in espansione,  che aumenta di intensità, rompendo finalmente i confini della ristrettezza della pista da ballo, concedendo il ritmo per i piedi e la testa praticamente solo in “Brownian interplay”, cercando di comunicare emozioni e tappeti sonori adatti ad un ascolto gradevole e profondo, attraverso il brano omonimo o “Together”, utilizzando suoni che riportano ai sintetizzatori analogici di oltre vent’anni fa, come ai ritmi “spezzati” o leggiadri di numeri uno, seppur non nati negli anni ’00, come LFO, Sabres Of Paradise e Aphex Twin. Una ipotetica colonna sonora adatta sia per un film di fantascienza come per un  percorso sonoro di una mostra.
Mi auguro e vi auguro un buon ascolto, sperando di aver innescato una sana curiosità su tanti dei nomi citati, ascoltabili e visibili su YouTube, piuttosto che nell’infinito universo delle web-radio.

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