“C’era una volta un paese nei pressi di una grande
città… c’era gente di ogni genere, vagabondi, adolescenti in fuga, fanatici
religiosi…” Una voce fuori campo
introduce così l’arrivo di Baltimore (Val Kilmer), scrittore di secondo piano
di saghe gotiche, semialcolizzato e in disarmo, nell’ennesima
minuscola cittadina della profonda provincia americana di Swan Alley. L'imbolsito autore è impegnato in tour promozionale del suo ultimo romanzo, con
la speranza di ritrovare l’ispirazione perduta per un nuovo scritto, schiacciato
dalla pressioni della moglie e dell’editore perché porti a termine il nuovo
parto letterario il prima possibile. La
conoscenza con il bizzarro sceriffo locale (Bruce Dern), con ambizioni da
scrittore horror, lo porta a conoscenza di un omicidio, una ragazza col cuore
trafitto da un paletto, della torre dell'orologio con sette facce del campanile,
nessuna delle quali hanno la stessa ora e che si dice abitato dal diavolo, della strana compagnia di adolescenti
locali, guidati dal misterioso Flamingo, dipinto come il male in
persona. Le situazioni ed i personaggi che incontra non possono che catturare
la sua attenzione, e fingendo di assecondare la velleità autoriali dello
sceriffo, Baltimore inizia a seguire un’indagine autonoma ed onirica. Accompagnato
nei suoi sogni dall’eterea ragazza V (Elle Fanning) ed Edgar
Allan Poe (Ben Chaplin), confida nella speranza di riuscire a dare una svolta alla sua
piccola carriera. Oltre il nodo fantastico
che lega i cittadini di Swan Valley ad una serie di omicidi di bambini
rimasti senza colpevole, Baltimore, riuscirà non solo nel far venire a galla i peccati di provincia,
rimasti nascosti per anni, ma anche il proprio senso di colpa per la figlia
adolescente, morta anni prima in un incidente.
Sono sempre molto gradevoli da leggere i pro e i
contro che riempono pagine di giornali, o
siti che siano, verso i personaggi dello spettacolo. Attori, cantanti e
ovviamente registi, nessuno ne è esente; gradevoli da sfogliare nel senso più
leggero del termine, nel senso della classica lettura “da cesso”, che diventa divertente per le ingiurie o le
esaltazioni del personaggio pubblico, messo sotto la lente di ingrandimento in
quel momento. Coppola, su questo nessuno dovrebbe nutrire dubbi, ha prodotto
alcuni dei migliori film di tutti i tempi, da "La conversazione” (1974)
all’immenso "Apocalypse Now" (1979) - passando attraverso l’esordio
sotto l’egida di un altro esodato da Hollywood come Roger Corman, e altre
avventure che la rete è in grado di fornirvi – ha segnato in modo indelebile il
Cinema, è diventato un rinomato produttore di vini, propietario di incredibili
lodge ad impatto ambientale zero in Belize. Un personaggio di peso, non solo nel senso fisico del termine; se ne è andato
dalla mecca del cinema, prendendone le distanze per anni, ha lasciato spazio
sugli schermi ai figli Roman e Sofia, ed è tornato con un linguaggio filmico
molto diverso da quello che aveva lasciato, prima con “Un’altra giovinezza” del
2007 , con il bellissimo “Segreti di famiglia” del 2009, un’opera forte ed intima
con richiami al proprio vissuto, recitato da uno splendido Vincent Gallo. Dopo
la rivisitazione del “Dracula di Bram Stoker”
(1992), con “Twixt”, che pare
aver avuto una distribuzione praticamente inesistente negli USA, torna a
misurarsi, con toni ed umori decisamente
diversi, con il fantastico, una ghost
story su cui è davvero difficile esprimersi. Il continuo passaggio tra accenni umoristici e quasi comici (volontaria o meno) ad atmosfere prese di peso dalle visioni del Lynch di “Twin Peaks” e “Strade
perdute”, risultano noiosi e decisamente fuori luogo. Il tutto shakerato con ingredienti spesso disomogenei, sia di tecnica
che di scrittura: l’uso del bianco e nero nelle sequenze dei sogni, che richiama
il bellissimo “Rusty il selvaggio – Rumble Fish” (1983), gli ormai bistrattati
vampiri, la severa critica al finto puritanesimo cattolico imperante negli
Stati Uniti, l'empasse creativo, il non approfondimento del personaggio stesso, pervaso tra sensi
di colpa e voglia di trionfalismo. Personalmente i contro in “Twixt” superano di gran lunga i pro, ponendosi il motivo di un’opera in cui la storia stessa diventa ridicola e ricca di
sciocchi cliché, con un una narrazione soffocata
da uno stile che non funziona e che non esalta; abbiamo perdonato autori di
ogni genere, la lapidazione lasciamola agli altri.
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