C’è sempre una sorta di pericolo
di esposizione quando si scrive, si propone, si tenta di
analizzare un’opera piuttosto che un autore, e che scatta quando ci accingiamo a
toccare la tastiera del pc.
Ma qui, fortunatamente, siamo su pagine libere, su
cui tutti, pochi o tanti non ha importanza, si sono proposti per dire la loro
su ciò che gli ha colpiti nell’infinito mondo della carta stampata, dei suoni e
delle visioni. Il tentativo è proprio quello di uscire da quello snobismo finto
culturale, di scendere da quel piedistallo su cui ci si pone per dimostrare
chi ha più conoscenza o chi è più bravo nella sintesi piuttosto che
nell’utilizzo di termini roboanti.
Si tenta, sperando di destare curiosità, di
espandere e scambiare le proprie letture, i propri ascolti; qualche giorna fà
parlavo con un amico, che ha già scritto su sandblow, di Percival Everett (1956), e dalla
conversazione ci siamo stupiti reciprocamente ("ma come, lo conosci anche tu?...) per aver letto alcuni dei pochi
romanzi tradotti in Italia. Da qui l’idea di questo post.
Everett è uno “scrittore statunitense, Distinguished
Professor di inglese alla University of Southern California…. vive a Los
Angeles, in California, con sua moglie, la romanziera Danzy Senna”, così inizia
la biografia riportata su Wikipedia di quello che reputo un ottimo autore, cui
fanno già capo oltre una trentina tra romanzi e saggi.
Come spesso accade, mi sono avvicinato ad Everett
incuriosito da non ricordo quale recensione, che poneva sì l'autore nella banale
categoria degli scrittori “afro-americani”, esaltandone la varietà di
scrittura, tra un romanzo e l’altro. Tralasciando la categorizzazione che pare ormai
estremamente datata, per quello che ho avuto modo di leggere, trovo Everett se
non geniale, indubbiamente tra gli scrittori più satirici, divertenti e
provocatori dell’attuale panorama letterario, pur non avendo la possibilità di
dare un giudizio complessivo sull’opera davvero vasta dell’autore, avendo letto
solo quattro dei romanzi finora tradotti in Italia da due piccole case editrici, Nutrimenti
e Instar, quali “Io Non sono Sidney Poitier (2010), “Deserto americano” (2009) ,
“Ferito” (2009) e “La cura dell'acqua” (2008).
“Ferito” e “La cura dell'acqua” portano su molte pagine i
segni inequivocabili dello stile di Cormac McCarthy e di Heminghway (per
affermazione dello stesso autore), dove le storie sono sì narrate in un Wyoming, in
un’America attuale, ma in cui nulla sembra cambiato rispetto alle spietate
leggi della Conquista. Una sorta
di nuovo Far-West, le cui spietate leggi continuano ad esistere, con le loro narrazioni
di razzismo e violenza, dove Everett pone in primo piano situazioni in cui i suoi
personaggi devono affrontare una chiara scelta morale, se pur
brutale, per dare una risposta ad un mondo in cui non riescono più a trovare
risposte.
“Io Non sono Sidney Poitier” e “Deserto americano” hanno
invece dallo loro parte uno stile radicalmente diverso, dove sono l’ironia, il gioco con la forma e la struttura, situazioni
paradossali a disaminare temi e problematiche,
che quotidianamente la società si trova ad affrontare: la
diversità, non solo per il colore della pelle, la cultura, l’identità.
“Io Non sono Sidney Poitier” pone alla ribalta i
temi della dignità nera, filtrati attraverso la commedia deliziosa ed
esilrante di un intelligentissimo bambino di colore, che per varie
vicissitudini si trova adottato dal miliardario Ted Turner, diventando una storia di umanità, di giovinezza , di amore e di
famiglia. In “Deserto americano” (un professore universitario sull'orlo del
suicidio viene ucciso in un incidente d’auto con la sua testa staccata dal
corpo, e resuscitando al suo funerale, diventa fonte di paura e imbarazzo per
la famiglia, un oggetto di derisione e di curiosità morbosa per la stampa e le
comunità scientifiche, consacrato come
una sorta di diavolo da parte di un oscuro culto religioso) Everett diverte e
si diverte ad ironizzare sui media, la religione, il mondo accademico offrendo,
in ultima analisi, una meditazione esistenziale di ciò che costituisce l'essere
vivi.
L’augurio è solo quello di destare, in chi non conosce l’autore,
un po’ di sana curiosità letteraria.
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