L’avvicinarsi della fine
dell’estate, ahinoi, segna sul versante televisivo i ritorni delle nuove
stagioni di innumerevoli serial tv, quelli che una volta tutti chiamavano
semplicemente telefilm. Chi da anni è abbonato alle piattaformi satellitari, ha
avuto la fortuna di imbattersi e godere di serial che ormai spopolano non solo
tra il pubblico, ma cosa sorprendente tra la critica, spesso più radicale,
elogiati come prodotti che hanno
superato, soprattutto per qualità di sceneggiatura e regia, la sterile massa di
pellicole provenienti dal fronte non solo hollywodiano ma dallo stesso cinema indipendente, americano o
britannico che sia. Questo divario tra gli abbonati a pagamento e chi non aveva
installato la mitica “parabola”, incomincia anche da noi, poco per volta, ad
essere colmato dalla svolta del digitale terrestre, permettendo finalmente le
visioni di prodotti di alta classe.
Non si tratta più di mitizzare
serial massivi e diciamolo, orrendi come
“Love Boat” piuttosto che “Dallas”, che occupavano i palinsesti delle reti Rai
o Mediaset negli anni ’80, ma di prendere atto e godere di visioni di altissima
fattura, che vanno dal poliziesco, al drammatico, al fantasy alla commedia.
Tralascio volutamente e non mi pronuncio sui vari “E.R.”, “Dr. House”, “CSI”, “Desperate
Housewives” piuttosto che “Lost” (grande intrattenimento per complessità e
suspense continua della trama, ma estremizzata fino ad una spettacolarizzazione
che ne ha lenito la validità nell’ultima “stagione”), fenomeni di massa veri e
propri anche da noi, grazie alle non pay-tv, e si ri/scoprono serie di culto
come “Doctor Who” piuttosto che “Life on Mars” o “Breaking Bad”, non
sottovalutando che negli ultimi anni si è potuti godere, nei palisensti in chiaro,
di visioni che anni fa nessuno
avrebbe proposto, per la durezza delle storie dei poliziotti tutta
famiglia e corruzione, come raccontato nelle sette stagioni di “The Shield”.
Per chi volesse addentrarsi
nel mondo del poliziesco, ad esempio, il caso di “The Wire” è emblematico di
come si possa superare per scrittura e produzione il cinema. Prodotta dal
canale televisivo HBO ad iniziare dal 2002, diventata relativamente famosa
anche per essere la serie preferita di Barack Obama – pare che quest’anno abbia
eletto invece “Homeland” - con ben 5 stagioni
all’attivo. Non ricordo su quale canale siano state trasmesse almeno le prime 3
stagioni, ma chi pensa che “Criminal Minds” o “Dexter” siano il massimo per il
genere, dovrà ricredersi di fronte alle storie, volutamente poco spettacolari e
movimentate, di una squadra
investigativa di Baltimora che affronta situazioni e temi che vanno dalla
violenza urbana dei ghetti, dall’illegalità e la corruzione nella politica e
nella burocrazia, alle falle del sistema scolastico, preferendo porre la lente
di ingrandimento su personaggi e tematiche sociali realistiche, con un perfetto
approfondimento dei protagonisti e del tessuto
urbano dove operano, distanti anni luce da improbabili indagini su serial-killer
di cartapesta. Sempre restando nel genere, assolutamente da vedere “The Killing
- Forbrydelsen”, serial danese del 2007 (trasmesso recentemente da Rai4), con
un buon remake americano dello scorso anno, dove l’omicidio di una ragazza dà
il via all’indagine in cui i riflettori sono puntati al dramma familiare e
al dolore della perdita, come ai sottoboschi più biechi e corrotti della
politica durante una campagna elettorale.
Quanto sia diventato attraente
il mondo dei serial televisivi anche per il cinema, basta pensare a Martin
Scorsese che ha diretto l’episodio pilota di “Boardwalk Empire”, o un regista
di culto come Gus Van Sant che ha fatto lo stesso con “Boss”, o Spielberg e la
fantascienza per famiglie e pop-corn di “Falling Skies” e “Terranova” (due
episodi sono sufficienti per verificarne la piattezza); il cinema che si
avvicina alla televisione sta però diventando un paradigma, invertendo un
processo che se prima portava freschezza nelle sceneggiature, ora rischia di
accartocciarsi su se stesso, volendo per ovvi motivi di costi e palinsesti,
raggiungere un pubblico indifferenziato. Il rischio è quello di trovarsi di
fronte ad una sovraproduzione e di conseguenza ad un ritorno verso il basso; esiste,
soprattutto, una scelta da fare, anche perchè chi avrebbe il tempo o la voglia
necessaria per stare di fronte alla tv ogni sera ?
L’offerta è ormai talmente
variegata, che districarsi e scegliere diventa e sarà sempre più difficile su
quale serial seguire, tra ottimi fantasy come “Games of Thrones – Il Trono di
Spade”, il moderno western degli anni zero ed i suoi violenti anti-eroi di
“Sons of Anarchy”, le sedute psicanalitiche di “In Treatment” e il già citato
rischio di sceneggiatori che cercheranno di migrare verso altri lidi più
remunerativi, remake di serie estere, anche se ottime, come appunto “In Treatment”
e “The Killing”.
Resta il fatto che “Mad Men”, supportato
da una sceneggiatura che potrebbe appartenere – con le dovute distanze – alla
versione attuale di romanzieri quali John Barth o Richard Yates, rendono
decenni mitizzati come i ’60 e i ’70 cadaveri eccellenti, raccontando del
desiderio della allora nata società dei consumi attraverso i personaggi di
un’agenzia pubblicitaria, che precipitano nel vuoto come nella splendida sigla,
con sagome umane in caduta libera dal World Trade Center; che “Homeland” (un
soldato tenuto prigioniero in Iraq e liberato dopo 8 anni di prigionia potrebbe
essere passato al nemico musulmano, ed accolto in patria come eroe e ipotetico
candidato al governo, viene invece personalmente spiato da un’agente della CIA
che non si fida dell’apparenze), dietro la trama carica di suspense, metta a
nudo le debolezze dell’occidente post 11 Settembre, con un livello di paura e
paranoia incarnato anche nell’agente della Cia, non a caso sofferente di
disturbo bipolare; che “Misfits” racconti la periferia londinese attraverso i
divertenti, e finalmente non edulcorati, racconti di un gruppo di ragazzi
obbligati ai servizi sociali, che si ritrovano a vivere la suburbia e i ghetti dotati di super-poteri, acquisiti dopo una
strana tempesta.
Vostro il tempo, vostra la
scelta; anche nell’intrattenimento bisogna scegliere e al solito la rete può esservi d’aiuto.
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