lunedì 27 agosto 2012

...tra gli invisibili film estivi... "Detachment - Il distacco" (2011) di Tony Kaye

Non è difficile imbattersi nelle torridi estati, che tengono distanti dai luoghi chiusi come quelli di una sala cinematografica, in pellicole, che se proposte in un altro periodo dell’anno, darebbero luogo a visioni più allargate e pubblicizzate dal passaparola stesso.
 “Detachment – Il distacco” (2011) è uno di questi film invisibili, e solo il secondo portato in Italia di Tony Kaye, regista del potente “American History X” del ’98, che diede la possibilità, almeno al nostro pubblico, di acclamare Edward Norton come uno dei migliori attori delle nuove generazioni.

Non mi sono mai sentito allo stesso tempo cosí distaccato da me stesso e così presente nella realtà".

Citando inizialmente Camus, il distacco è quello che vive e costringe l’insegnante Henry Barthes (Adrien Brody), alla sua vita non solo di girovago supplente, ma di uomo che vive il quotidiano con una sorta di timer attaccato al polso. Henry vaga di scuola in scuola, impartendo le proprie modalità di conoscenza, ma mai da stare abbastanza a lungo per formare qualsiasi parvenza di attaccamento, una professione ideale per chi cerca di nascondersi e sfuggire ad un passato doloroso, in cui è sempre presente il ricordo della madre suicida a causa della violenza subita dal padre da bambina, il quale, in seguito a quell'evento, ha perso il senno. Chiuso in una clinica e in attesa della morte come una sorta di redenzione, Henry continua ad andarlo a trovare, quasi per generare una sorta di catarsi per il dolore vissuto da bambino.
Impegnato in una supplenza in una difficile scuola superiore statunitense, la sua entrata in questo istituto, risveglia un mondo segreto di emozioni grazie anche all’incontro di tre donne: Meredith, l’alunna dotata di una notevole sensibilità artistica, ma disperata per via delle umiliazioni subite dai compagni e da suo padre riguardo la sua obesità e la sua passione per la fotografia; la collega Madison ansiosa per la propria carriera, ed Erica, una giovanissima prostituta  che Henry accoglie a casa sua, al riparo dalla violenza della strada. Ognuna di queste donne, come Henry, rappresenta la lotta per trovare riparo e bellezza nel mondo, prigionieri del proprio passato, del proprio travaglio, spesso nascosto per paura e timidezza agli occhi degli altri; Meredith proverà ad esprimere le proprie emozioni dedicando ad Henry una fotografia che lo ritrae in una classe vuota e senza volto, come una "non persona". Nel giorno di addio dell’insegnante, sarà il suicidio di Meredith, credendosi respinta anche dall'unica persona che lei reputa in grado di capirla, che Henry comprende che la sua vita da "distaccato" è una non vita, decidendo di cambiare. Il primo passo sarà quello di andare a trovare Erica, che nel frattempo aveva affidato ai servizi sociali.
“Detachment”, vent’anni dopo “L'attimo fuggente”, ma enormemente distante dal film di Peter Weir non solo per il linguaggio filmico, può anche essere letto come un vero dibattito sociale intorno dell’educazione della scuola (non solo americana), di insegnanti e di un sistema sul bordo dell'abisso, tematiche già esplorate da Kaye anche in “American History X”. Quello che interessa il regista è in realtà il mondo delle relazioni tra insegnanti e studenti, tra sistema scolastico e la società, usate come parafrasi della scomparsa della famiglia, dei genitori, di tutti noi, di persone spesso non hanno il coraggio di porsi di fronte alle loro solitudini, allotanandosi da una mondo in cui spesso ci si interseca senza mai realmente incontrarsi. Nonostante alcuni difetti, come l’uso insistente dell’interviste “fast-forward” di Henry, di intermezzi che richiamano la voglia di evidenziare un linguaggio cinematografico “indipendente”, la parabola dell ’'educazione' come lettura di una più profonda malattia sociale, dei grandi conflitti radicati nella famiglia e genitorialità, nei rapporti tra persone, fa di “Detachment – Il distacco” un’opera da ripescare in mezzo ai blockbuster che presto invaderanno i nostri poveri e sempre più ridotti schermi genovesi.

2 commenti:

silvia ha detto...

Dear Gallo, ottima recensione del film che mi ha fatto cogliere aspetti tecnici che ignoravo. L'ho trovato molto poetico, dolente, ben lontano da quel "capitano o mio capitano" che pur mi diede lo slancio finale per cambiare facoltà (a me e chissà quanti altri giovinastri idealisti!) e anche drammaticamente più rinunciatario, quasi senza speranze perché il caos domina sulle possibilità di rendenzione, anche se poi la giovane prostituta si salva dalla strada e il bel Brody va a trovarla nella casa famiglia, scegliendo di "stare", di non fare solo "il supplente", ma di prendersi cura davvero e ancora di lei. Mi piacerebbe che le vedessero alcuni amici insegnanti che spesso mi confidano la loro disarmante fatica di fronte agli alunni che non hanno nessun contenimento a casa e che quindi a scuola risultano molto complessi da gestire. Senza contare che, proprio come si racconta nel film attraverso la telefonata improbabile a Lucy Liu di quel papà che "pretende" di far passare per vittima del sistema il figlio sociopatico con disturbi comportamentali, sempre più spesso i genitori fanno a muso duro con gli insegnanti. Dulcis in fundo, non è fenomeno puramente americano quello della competizione tra istituti scolastici per accapparramento fondi che ha visto trasformarsi i presidi in burocrati. Insomma, ancora una volta, forse con un filo di retorica "indie", forse con i toni urlati ella tragedia, ma lo sguardo di un regista inglese sulla società americana fa da specchio a temi che appartengono profondamentee con toni meno epici anche all'Italia. Dove la famiglia perde colpi su colpi e l'american way of life lavora-consuma-crepa ci ha usurati profondamente. Che cosa accadrà. mi chiedo, ora che la crisi ha messo in crisi anche questo paradigma?

Ci sono diversi altri film sulla scuola in uscita e credo di volerli vedere tutti (ho anche proposto un servizio a F). Dulcis in fundo, vorrei darti uno sconsiglio cnematografico: sono andata a vedere "Una cena tra amici", commedia francesce che un paio di colleghe mi avevano consigliato con entusiasmo. La trama è semplice: solita stanza, il solito impianto teatrale dove tutto si gioca con unitì di tempo e spazio. Una coppia della gauche parisien ospita l'amico gay di lei e il fratello incinto e destrorso di lui a cena. E quando scoprono che lui intende chiamare il figlio in arrivo Adolphe (come Adolf Hitler), scoppia la riviluzione in salotto.

Speravo in un incrocio felice tra la Cena dei cretini e Carnage, me ne sono andata a metà indignata dalla noia e dalla pesantezza dei luoghi comuni.

Bene, torno a lavorare… Buona settimana

s

Roberto Gallino ha detto...

Grazie per il consiglio su "Una cena tra amici".
Per "Detachement" trovo sia un ottimo film specialmente per gli insegnanti, ho volutamente lasciato le figure (e le ottime se pur limitate interpretazioni) di Liu e James Caan, dato che viene spesso voglia di raccontarlo per intero, ma le righe sarebbero forse troppe. Già recito il mea culpa per aver raccontato il finale, ma ti ringrazio per avermelo consigliato. Personalmente, l'American way of life la trovo ormai come identità di molti paesi occidentali, così come il film mette a galla la paura di essere dei "supplenti" della propria vita o in quella di altre persone.