Dunque, qualcuno mi tiene sotto ricatto e mi fa pesare di avermi prestato dei libri e anche secondo me di non essere, come dire, sufficientemente assertiva. Quindi faccio una cosa che non faccio di solito, cioé scrivere una recensione di un film e quindi, va da sé, faccio asserzioni. é seccante. Pare che vada fatto, comunque.
Allora é domenica sono le 5 e mezza, prime luci della sera, arrivo trafelata all'ingresso di un cinema. Freno con strisciata di fronte a un serpente umano che si snoda dall'ingresso del cinema alla piazzetta di fronte, seguendo diverse volute.
Credevo di essere sola. Credevo di andare da sola di domenica pomeriggio a vedere un film che solo, solo io! so che cosa può serbare. Ho sbattuto la macchina in un posto assurdo e vietatissimo, corro corro verso il mio appuntamento, e questi che vogliono?
Chi se ne frega, l'importante é entrare. Intanto però me li guardo. Sono tutti vecchi. Si vede che questi vecchi alla domenica pomeriggio vanno sempre al cinema, perché sembrano anche conoscersi tra loro, o comunque vestiti e accento di quartiere sono omogenei. Stiamo parlando di bei quartieri, beninteso. Sto aspettando mio marito che esce da messa confessa una signora con un bel cappotto colorato. Un bello spaccato della città, e forse anche più in là.
Purché il marito ritardatario non si freghi l'ultimo ingresso, perché la fila é lunga davvero.
Sala a tappo, quasi a tappo, punto secca alle prime file ed eccomi accanto a quello che suppongo essere il più vechio della sala, ultimo della sua fila di vecchi un pò più giovani di lui. Sposta gentilmente il bastone dal manico ricurvo appoggiato alla poltrona di cortesia, quella vuota che bisogna lasciare per non stabilire intimità con spettatori sconosciuti.
Ci siamo. Bene così.
Buio, si parte (sospirone).
Non ne so nulla del film, é a scatola chusa. Prima scena, André Wilms su sfondo ciano, siamo a posto. Kaurismaki ha deportato tutta la sua cricca a Le Havre, dove ovviamente c'é un porto, quindi mi metto serena e vediamo che combinano.
Non credo che racconterò che succede nel film. Ci sono molte scene esilaranti ma ho notato che ridevo da sola in sala. Comunque ogni singola cellula del mio corpo ha riso, sorriso e mormorato per tutta la durata del film e anche dopo. Anche e soprattutto per una banale questione di fotografia, tempi e movimenti.
A un certo punto avevo i lucciconi e anche qui col cavolo che dico dove.
Il fatto é che non so neanche se questo film parla di migrazione, di frontiere, di diritti, o invece parla di tutto e basta. Io poi detesto i film con i migranti, sui migranti, per i migranti.
Kaurismaki si scoccia in un'intervista quando gli chiedono se gli sta bene che il film venga definito una favola sociale, e dice che avrebbe preferito "un capolavoro". Comprensibile.
Ho guardato altre recensioni, le prime che compaiono sul browser. Pare che Kaurismaki non faccia film realistici, ma senti senti.
Comunque, che succede. Succede che bisogna precipitarsi ad aggregare e disperdere, probabilmente. E non in pubblico, non sblaterando impegni e stringendo alleanze comunicate invece che agite.
Allora qui ci sono delle persone che abitano vicino o che si incrociano per traiettorie segnate da esperienze vere. Questo é il contesto in cui ci si espone con grazia, e da cui si esce precipitandosi a vedere il resto, a trovare i modi altrove. Cacciarsi nei guai.
Non si capisce? E vabbé, quanto meno sono stata assertiva.
Cosa vi racconto. A un certo punto c'é la mano dell'infame Jean Pierre Léaud (vecchio come tutti gli altri vecchi) che va dalla tendina azzurra al telefono di bachelite nera e compone il numero con la rotellona.
Il fantastico concerto, che é un attimo organizzarlo, quello c'é. C'é tutto insomma, il cane, il bar, la tipa dei panini, ecc ecc. però a Le Havre.
Il commiato perfetto, uno scambio del tipo non ti dimenticherò mai, neppure io (ogni momento ho ringraziato le poche parole e tutto il resto che racconta con precisione senza mai definire a chiudere).
E poi c'é altro. Cosa volete che racconti, non dirò niente.
Le gambe stupende di Kati Outinen brillano dal vestito giallo mentre chiude il film entrando in casa con Marx (inaudito!).
Ho parlato con qualcuno di gratitudine, recentemente. Non é particolarmente in uso, tra l'altro, come parola. Sono molto grata ad Aki Kaurirmaki e alle sue (molte) grappe.
ps - i vecchi sullo schermo e i vecchi davanti allo schermo, avevano qualcosa in comune? Chi lo sa, all'uscita non ho controllato.
EUGENIA