venerdì 7 settembre 2018

First Reformed di Paul Schrader (2017)

Ex cappellano militare, Toller è devastato dalla perdita del figlio, che lui stesso aveva incoraggiato ad arruolarsi nelle forze armate. Travagliato da un forte dissidio spirituale, la sua fede viene ulteriormente messa alla prova quando la giovane Mary e il marito Michael, ambientalista radicale, si rivolgono a lui per aiuto. Consumato dal pensiero che il mondo stia per essere distrutto da grandi e spietate corporation, complici della Chiesa in loschi traffici, Toller decide di intraprendere un’azione molto rischiosa, nella speranza di riuscire a ritrovare la fede.

Dall’oscurità alla luce, dall’umana, terrestre orizzontalità alla vertiginosa verticalità del divino. È una vera e propria dichiarazione d’intenti la prima inquadratura di First Reformed di Paul Schrader, dentro ci sono tutte le sue ossessioni, tutto il suo cinema. Un cinema mai conciliato con se stesso, né con l’umano né col divino, un cinema violento, specie in “parole, opere e omissioni”. No, non c’è niente di conciliatorio in quella lunga, splendida carrellata iniziale dal basso, c’è solo la furia dell’uomo nel lanciarsi verso Dio, anche a costo (anzi, nella malcelata speranza) di distruggersi.

Presentato in concorso a Venezia 2017, First Reformed segna il ritorno di Schrader, dopo la spassosa ma esile boutade Dog Eat Dog, ai temi che hanno attraversato tutta la sua filmografia (la fede, la superbia, la grazia) e che qui si snocciolano in un crescendo implacabile, arricchendosi con innesti inediti, fino a costituire l’amalgama di una valanga montante fatta di intuizioni teologiche, filosofiche e sensoriali, pronta a riversarsi sullo spettatore.

Protagonista del film è un ottimo Ethan Hawke, nelle vesti talari di un pastore che, abbandonato dalla moglie dopo la morte del figlio (che lui stesso aveva esortato ad arruolarsi), si ritrova ad amministrare la piccola parrocchia di First Reformed e la relativa comunità. Toller, questo il nome del religioso, ha deciso di tenere un diario (torna l’ossessione di Schrader per Robert Bresson e il suo Diario di un curato di campagna) perché non riesce più a pregare. Ogni tanto presta i suoi servigi in un’altra, ben più popolosa diocesi, che segue la dottrina nota come “Abundant Life, inneggiante alla pienezza della vita. Ma i suoi pensieri sembrano andare in tutt’altra direzione.Non solo Toller non riesce più a parlare con Dio, ma ha un serio problema con le tubature del bagno, anche lì sussiste un blocco, che va spurgato. Dopotutto, Martin Lutero non ha composto uno dei suoi inni religiosi più famosi proprio dall’abitacolo del suo gabinetto? O almeno, così dice la leggenda.Una luce di speranza si fa viva poi quando una giovane parrocchiana (Amanda Seyfried) incinta gli chiede di parlare con suo marito: un attivista ecologista che preferirebbe non mettere al mondo un figlio in un mondo che l’uomo ha da tempo condannato alla distruzione. Ma nonostante il suo intervento, il giovane uomo si suicida, e Padre Toller inizia a prendere una serie di decisioni. Il calvario è un destino, tanto vale lanciarcisi contro a tutta velocità, o comunque con un certo fragore.

Con uno script magistrale, che largo spazio offre alla parola, mentre ne mette in discussione il potere salvifico, Schrader realizza con First Reformed un film che non solo contiene tutta la sua carriera, ma ne supera la portata, amplificandone tutte le ossessioni. Da grande ammiratore di Sentieri selvaggi (in originale: The Searcher), Schrader è un “cercatore”, di conoscenza, più che di risposte. E poi, come nel più classico del western, anche in First Reformed si fa largo la possibilità di andare contro la legge – umana o divina in questo caso fa poca differenza – per una causa giusta. Tutti i grandi pensatori e teologi, in qualche misura l’hanno fatto. Compreso Lutero.

Emerge poi con particolare forza, data l’ambientazione e il ruolo rivestito dal protagonista, la questione, cara al regista, dell’etica protestante di stampo capitalista, con il relativo rifiuto di “porgere l’altra guancia” perché, come dice un ragazzo durante un gruppo d’ascolto, “i cristiani non devono per forza essere degli sfigati”.Molto meno direttamente incentrato sul cinema rispetto a The CanyonsFirst Reformed, si interroga però con forza su un problema tutto connesso al ruolo dell’autore (cinematografico o meno) quale è quello della superbia. 

È da essa in fondo che proviene ogni forma di espressione umana, dalla scrittura ai film, e ancor più protervo è proprio l’atto della preghiera poi, che si pone l’obiettivo di comunicare nientemeno che con Dio.Vero e proprio atto di fede verso il suo cinema e di devozione verso il suo attore (mai Ethan Hawke è stato trattato con tali amorevoli cure, in grado di farne emergere tutto il talento), First Reformed si pone (e ci pone) inoltre un problema fondamentale: ci avviciniamo di più al divino quando proteggiamo ciò che ci è stato affidato – la Terra, come il nostro corpo – o quando, con la superbia di accostarci al Dio del Vecchio Testamento, puntiamo a distruggerlo?La risposta è semplice e Schrader la affida alle parole della preghiera di un profeta tutto americano come Neil Young.

Pubblicato su Quinlan.it il 09/01/17 da Daria Pomponio