lunedì 29 giugno 2020

Matthias & Maxime di Xavier Dolan (2019)




Matthias ha tutto dalla vita: una ragazza che lo ama, una famiglia importante alle spalle e un lavoro che gli sta garantendo una carriera di successo. Maxime, invece, ha un’esistenza che è l’esatto opposto. Il ragazzo, infatti, deve inventarsi ogni giorno una prospettiva e, schiacciato da una madre terribile che cerca invano di salvare, la disperazione invade ogni suo gesto. I due, però, sono amici da sempre. Alla vigilia della partenza di Maxime, diretto per l’Australia, in cerca di una felicità, la coppia si rivede insieme ad altri compagni per una reunion in una casa sul lago. Una scommessa persa e il casting coatto per il corto sperimentale di una loro amica, costringerà i due amici a baciarsi. Un attimo imprevisto che stravolge il loro rapporto, facendo scattare qualcosa di inaspettato.

Dopo il “disastro” di La mia vita con John F. Donovan, Dolan sembra stia pagando sulla propria pelle il disagio di essersi scottato. Il suo primo grande film americano, con cast hollywoodiano e grandi ambizioni, non è stato, infatti, il successo ci si aspettava, relegato presto in un indeterminato dimenticatoio artistico (il film in alcuni paesi non ha nemmeno avuto una distribuzione in sala). L’infelice esperienza deve aver avuto un peso determinante sul regista canadese che, come i suoi personaggi ha vissuto tutto con il terrore di essersi bruciati, l’angoscia di precipitare in un vuoto di anonimato. Quanti giovani autori, pompati e santificati dalla critica mondiale, abbiamo visto sparire nel giro di pochi anni, destinati a una carriera sbagliata? Il fiato mortifero del fantasma del natale futuro è apparso alle spalle di Xavier, sussurrandogli quello che sarebbe potuto essere il suo destino di promessa mancata. Con l’umiltà di chi si è reso conto di aver forse esagerato e con la paura di chi, invece, deve dimostrare qualcosa (agli altri o a se stesso?) Dolan torna con Matthias & Maxime alle dimensioni essenziali dei suoi primi film, realizzando un’opera piccola, lineare, emotiva.

L’inadeguatezza di Xavier si riversa, infatti, nel suo sofferto personaggio. Sbagliato, arrabbiato e triste, con quel marchio sul volto che lo accompagna dalla nascita, Maxime è la sintesi di tutta l’irrequieta voglia di Dolan. Non importa che la sua intrepretazione sia spesso sproporzionata e disturbante, annichilita dal confronto con i suoi compagni di set. Il regista sente l’esigenza di essere presente in questo suo secondo esordio. La sua prova, e tutte le sue incongruenze, si immerge con naturalezza nel fluido equilibrato di un film che, da regista, sa tenere insieme alla perfezione. Dolan ha sempre avuto talento, è innegabile. La consapevolezza emotiva, però, che passa dalle scene di Matthias & Maxime si ripercuote in scelte sempre lucide e presenti. La sceneggiatura eccitata ma mai referenziale, le canzoni (il grande vanto di Dolan) finalmente giuste, e uno sguardo registico empatico, non ostentato o arrogante, segnano un cambio di rotta cosciente e sorprendente.

Matthias & Maxime non è un film che parla di omosessualità repressa, di tensioni sessuali esplosive. Più che di sesso o di identità, il bacio incriminato, quest’attimo imprevisto di intimità ci parla di qualcosa che va oltre. Quella tra Matthias e Maxime è una storia d’amore tra amici, è il racconto di quanto sia essenziale e stravolgente, ancora oggi, il contatto umano. Quante volte abbiamo avuto paura di esternare i nostri sentimenti a chi abbiamo vicino? Quante volte abbiamo dovuto sopprimere emozioni perchè non è il momento, non è giusto, non risponde all’immagine sociale che ci siamo tanto faticosamente attaccati addosso? Il bacio, questo bacio, rompe definitivamente tutte le nostre sovrastrutture, le nostre convenzioni da quattro soldi. In quelle labbra che si toccano e non si riescono a staccare, non leggiamo solo “Io ti voglio” ma “Sei stato importante per me“, “Ci sarò sempre“, “Mi mancherai“.  Emozioni che, dette a voce, non hanno alcun senso. Perchè le parole, lo sappiamo, spariscono nel vento. Sono i gesti enormi, improvvisi, estremi, come un bacio, a rimanerci dentro per tutta la vita.
pubblicato su sentieriselvaggi.it il 29/6/2020 di Luca Marchetti

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Matthias & Maxime è stato accolto con grande affetto alla settantaduesima edizione del Festival di Cannes. Nulla di sorprendente, verrebbe da dire, ma solo l’ennesima conferma di ciò che significa essere dei “figliol prodighi”. Xavier Dolan torna infatti in concorso dopo le polemiche che seguirono la sua ultima montée de marche con Juste la fin du monde, che videro il regista pretendere dal festival maggior rispetto per i film e protezione dagli “attacchi” e “insulti” lanciati tramite i social network dagli accreditati – e parte consistente dei problemi che la stampa ha avuto quest’anno sulla Croisette germinano proprio da quelle rimostranze – e ancor più dopo aver auto-sabotato il suo primo film con produzione anglofona, The Death and Life of John F. Donovan, con risultati al botteghino a dir poco preoccupanti (a fronte di una spesa che si aggira intorno ai 30 milioni di dollari il film ha incassato a livello mondiale meno di 5 milioni di dollari). Inevitabile dunque lo srotolamento preventivo del tappeto rosso per questo giovanissimo cineasta canadese che a trent’anni appena compiuti ha già terminato otto lungometraggi. Un enfant prodige, ma che inizia a mostrare evidenti segni di stanchezza espressiva. Dopo la sbornia statunitense e i suoi effetti negativi, Dolan torna in Canada, nel suo Québec, e torna al francese come lingua madre e unico veicolo espressivo possibile. Non è certo un caso che l’incipit del film, un fine settimana tra amici alla casa al lago di uno di loro, punti moltissimo sulla guerra tra il francese e la lingua dominante, imperiale: la regista amatoriale del cortometraggio pseudo-sperimentale Limbo, per colpa del quale si genereranno tutti i dubbi esistenziali dei due protagonisti del titolo, mescola al québécois delle parole anglosassoni, creando un mélange linguistico fastidioso almeno quanto le sue mossette e il suo atteggiarsi.

Come accadrà per la maggior parte degli stimoli disseminati nel corso del film, però, Dolan non sembra aver alcuna intenzione di svilupparli, e neanche di configurarli in un sistema d’immagini che acquisisca corpo e vita. Di fatto la prima macro-sequenza del film, che contiene al proprio interno anche la più sublime delle intuizioni di Dolan (la lunga nuotata notturna di Matthias nel lago, con la macchina da presa che sembra sbracciare nervosa e quasi disperata con lui), rappresenta anche l’atrofizzazione della narrazione. Quella ricerca del proprio desiderio, che dovrebbe essere il punto attorno al quale ruota il film, non esplode mai, non deflagra sullo schermo. Certo, Dolan si affanna a costruire un immaginario che rifletta la sua potenza espressiva, accelerando e rallentando l’azione, mescolando la tragedia intima al bozzetto grottesco anti-borghese, nel tentativo non troppo riuscito di rassodare le forme di un’opera che si ritrova a respirare in modo asfittico. Il problema, forse, è che se di troppa ambizione si può esplodere, di troppa semplicità si corre il rischio di sgonfiarsi. Matthias & Maxime è un film che potrebbe essere aggettivato come piccolo. Ha pochi interpreti, poche situazioni quasi sempre in interno, dialoghi sempre brillanti. Dolan evita le scene madri, si diverte a eliminare completamente dalla scena la figura paterna – perfino quando dovrebbe farsi sentire al telefono uno dei genitori fa telefonare dalla sua segretaria – e per il resto cerca le coordinate di un coming of age classico, con la scoperta della propria sessualità come perno attorno al quale far ruotare i personaggi.

Non si può certo accusare di insincerità Matthias & Maxime, né sarebbe giusto disconoscere a Dolan i meriti di un talento registico innegabile, ma l’impressione è che la gabbia che l’autore di Mommy e Laurence Anyways si è costruito attorno sia ben lontana dall’essere scardinata. La volontà di depotenziare il côté melodrammatico è evidente e apprezzabile, ma il tutto finisce per ridursi a una presa di coscienza un po’ superficiale e senza molto da dire non solo sul tema (nemico pubblico numero uno di un film di questo tipo) ma soprattutto sui suoi personaggi, privi di una psicologia in grado di giustificare o meno comportamenti o scelte di vario tipo. Matthias & Maxime è l’ottavo lungometraggio della carriera di Dolan, come già scritto, ma paradossalmente ha le forme, il respiro e perfino le ambizioni di un’opera prima del Sundance Institute. La maturazione del Dolan autore appare ancora lontana. Restano gli improvvisi scarti registici, alcuni dialoghi brillanti, la bravura degli interpreti – in particolar modo lo stesso regista, che interpreta Maxime – e l’utilizzo mai banale del repertorio musicale. La speranza è che prima o poi Dolan riesca a uscire dal proprio cono d’ombra aprendosi davvero al mondo che lo circonda. Ma in ogni caso c’è chi, non c’è da dubitarne, saprà accontentarsi.
pubblicato su quinlan.it il 23/5/2019 di Raffaele Meale

presentato a Cannes nel 2019 e distribuito da Lucky Red dal 27 Giugno 2020 in streaming