Matthias ha tutto dalla vita: una ragazza che lo ama, una
famiglia importante alle spalle e un lavoro che gli sta garantendo una carriera
di successo. Maxime, invece, ha un’esistenza che è l’esatto opposto. Il
ragazzo, infatti, deve inventarsi ogni giorno una prospettiva e, schiacciato da
una madre terribile che cerca invano di salvare, la disperazione invade ogni
suo gesto. I due, però, sono amici da sempre. Alla vigilia della partenza di
Maxime, diretto per l’Australia, in cerca di una felicità, la coppia si rivede
insieme ad altri compagni per una reunion in una casa sul lago. Una scommessa
persa e il casting coatto per il corto sperimentale di una loro amica,
costringerà i due amici a baciarsi. Un attimo imprevisto che stravolge il loro
rapporto, facendo scattare qualcosa di inaspettato.
Dopo il “disastro” di La mia vita con John F. Donovan,
Dolan sembra stia pagando sulla propria pelle il disagio di essersi scottato.
Il suo primo grande film americano, con cast hollywoodiano e grandi ambizioni,
non è stato, infatti, il successo ci si aspettava, relegato presto in un
indeterminato dimenticatoio artistico (il film in alcuni paesi non ha nemmeno
avuto una distribuzione in sala). L’infelice esperienza deve aver avuto un peso
determinante sul regista canadese che, come i suoi personaggi ha vissuto tutto
con il terrore di essersi bruciati, l’angoscia di precipitare in un vuoto di
anonimato. Quanti giovani autori, pompati e santificati dalla critica mondiale,
abbiamo visto sparire nel giro di pochi anni, destinati a una carriera
sbagliata? Il fiato mortifero del fantasma del natale futuro è apparso alle
spalle di Xavier, sussurrandogli quello che sarebbe potuto essere il suo
destino di promessa mancata. Con l’umiltà di chi si è reso conto di aver forse
esagerato e con la paura di chi, invece, deve dimostrare qualcosa (agli altri o
a se stesso?) Dolan torna con Matthias & Maxime alle dimensioni essenziali
dei suoi primi film, realizzando un’opera piccola, lineare, emotiva.
L’inadeguatezza di Xavier si riversa, infatti, nel suo
sofferto personaggio. Sbagliato, arrabbiato e triste, con quel marchio sul
volto che lo accompagna dalla nascita, Maxime è la sintesi di tutta
l’irrequieta voglia di Dolan. Non importa che la sua intrepretazione sia spesso
sproporzionata e disturbante, annichilita dal confronto con i suoi compagni di
set. Il regista sente l’esigenza di essere presente in questo suo secondo
esordio. La sua prova, e tutte le sue incongruenze, si immerge con naturalezza
nel fluido equilibrato di un film che, da regista, sa tenere insieme alla
perfezione. Dolan ha sempre avuto talento, è innegabile. La consapevolezza
emotiva, però, che passa dalle scene di Matthias & Maxime si ripercuote in
scelte sempre lucide e presenti. La sceneggiatura eccitata ma mai referenziale,
le canzoni (il grande vanto di Dolan) finalmente giuste, e uno sguardo
registico empatico, non ostentato o arrogante, segnano un cambio di rotta
cosciente e sorprendente.
Matthias & Maxime non è un film che parla di
omosessualità repressa, di tensioni sessuali esplosive. Più che di sesso o di
identità, il bacio incriminato, quest’attimo imprevisto di intimità ci parla di
qualcosa che va oltre. Quella tra Matthias e Maxime è una storia d’amore tra
amici, è il racconto di quanto sia essenziale e stravolgente, ancora oggi, il
contatto umano. Quante volte abbiamo avuto paura di esternare i nostri
sentimenti a chi abbiamo vicino? Quante volte abbiamo dovuto sopprimere
emozioni perchè non è il momento, non è giusto, non risponde all’immagine
sociale che ci siamo tanto faticosamente attaccati addosso? Il bacio, questo bacio,
rompe definitivamente tutte le nostre sovrastrutture, le nostre convenzioni da
quattro soldi. In quelle labbra che si toccano e non si riescono a staccare,
non leggiamo solo “Io ti voglio” ma “Sei stato importante per me“, “Ci sarò
sempre“, “Mi mancherai“. Emozioni che,
dette a voce, non hanno alcun senso. Perchè le parole, lo sappiamo, spariscono
nel vento. Sono i gesti enormi, improvvisi, estremi, come un bacio, a rimanerci
dentro per tutta la vita.
pubblicato su sentieriselvaggi.it il 29/6/2020 di Luca Marchetti
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Matthias & Maxime è stato accolto con grande affetto
alla settantaduesima edizione del Festival di Cannes. Nulla di sorprendente,
verrebbe da dire, ma solo l’ennesima conferma di ciò che significa essere dei
“figliol prodighi”. Xavier Dolan torna infatti in concorso dopo le polemiche
che seguirono la sua ultima montée de marche con Juste la fin du monde, che
videro il regista pretendere dal festival maggior rispetto per i film e
protezione dagli “attacchi” e “insulti” lanciati tramite i social network dagli
accreditati – e parte consistente dei problemi che la stampa ha avuto
quest’anno sulla Croisette germinano proprio da quelle rimostranze – e ancor
più dopo aver auto-sabotato il suo primo film con produzione anglofona, The
Death and Life of John F. Donovan, con risultati al botteghino a dir poco
preoccupanti (a fronte di una spesa che si aggira intorno ai 30 milioni di
dollari il film ha incassato a livello mondiale meno di 5 milioni di dollari).
Inevitabile dunque lo srotolamento preventivo del tappeto rosso per questo
giovanissimo cineasta canadese che a trent’anni appena compiuti ha già terminato
otto lungometraggi. Un enfant prodige, ma che inizia a mostrare evidenti segni
di stanchezza espressiva. Dopo la sbornia statunitense e i suoi effetti
negativi, Dolan torna in Canada, nel suo Québec, e torna al francese come
lingua madre e unico veicolo espressivo possibile. Non è certo un caso che
l’incipit del film, un fine settimana tra amici alla casa al lago di uno di
loro, punti moltissimo sulla guerra tra il francese e la lingua dominante,
imperiale: la regista amatoriale del cortometraggio pseudo-sperimentale Limbo,
per colpa del quale si genereranno tutti i dubbi esistenziali dei due
protagonisti del titolo, mescola al québécois delle parole anglosassoni,
creando un mélange linguistico fastidioso almeno quanto le sue mossette e il
suo atteggiarsi.
Come accadrà per la maggior parte degli stimoli
disseminati nel corso del film, però, Dolan non sembra aver alcuna intenzione
di svilupparli, e neanche di configurarli in un sistema d’immagini che
acquisisca corpo e vita. Di fatto la prima macro-sequenza del film, che
contiene al proprio interno anche la più sublime delle intuizioni di Dolan (la
lunga nuotata notturna di Matthias nel lago, con la macchina da presa che
sembra sbracciare nervosa e quasi disperata con lui), rappresenta anche
l’atrofizzazione della narrazione. Quella ricerca del proprio desiderio, che
dovrebbe essere il punto attorno al quale ruota il film, non esplode mai, non
deflagra sullo schermo. Certo, Dolan si affanna a costruire un immaginario che
rifletta la sua potenza espressiva, accelerando e rallentando l’azione,
mescolando la tragedia intima al bozzetto grottesco anti-borghese, nel
tentativo non troppo riuscito di rassodare le forme di un’opera che si ritrova
a respirare in modo asfittico. Il problema, forse, è che se di troppa ambizione
si può esplodere, di troppa semplicità si corre il rischio di sgonfiarsi.
Matthias & Maxime è un film che potrebbe essere aggettivato come piccolo.
Ha pochi interpreti, poche situazioni quasi sempre in interno, dialoghi sempre
brillanti. Dolan evita le scene madri, si diverte a eliminare completamente
dalla scena la figura paterna – perfino quando dovrebbe farsi sentire al
telefono uno dei genitori fa telefonare dalla sua segretaria – e per il resto
cerca le coordinate di un coming of age classico, con la scoperta della propria
sessualità come perno attorno al quale far ruotare i personaggi.
Non si può certo accusare di insincerità Matthias &
Maxime, né sarebbe giusto disconoscere a Dolan i meriti di un talento registico
innegabile, ma l’impressione è che la gabbia che l’autore di Mommy e Laurence
Anyways si è costruito attorno sia ben lontana dall’essere scardinata. La
volontà di depotenziare il côté melodrammatico è evidente e apprezzabile, ma il
tutto finisce per ridursi a una presa di coscienza un po’ superficiale e senza
molto da dire non solo sul tema (nemico pubblico numero uno di un film di
questo tipo) ma soprattutto sui suoi personaggi, privi di una psicologia in
grado di giustificare o meno comportamenti o scelte di vario tipo. Matthias
& Maxime è l’ottavo lungometraggio della carriera di Dolan, come già
scritto, ma paradossalmente ha le forme, il respiro e perfino le ambizioni di
un’opera prima del Sundance Institute. La maturazione del Dolan autore appare
ancora lontana. Restano gli improvvisi scarti registici, alcuni dialoghi
brillanti, la bravura degli interpreti – in particolar modo lo stesso regista,
che interpreta Maxime – e l’utilizzo mai banale del repertorio musicale. La
speranza è che prima o poi Dolan riesca a uscire dal proprio cono d’ombra
aprendosi davvero al mondo che lo circonda. Ma in ogni caso c’è chi, non c’è da
dubitarne, saprà accontentarsi.
pubblicato su quinlan.it il 23/5/2019 di Raffaele Meale
presentato a Cannes nel 2019 e distribuito da Lucky Red dal 27 Giugno 2020 in streaming