martedì 28 dicembre 2021

2021 Rewind

Tommaso (Abel Ferrara)
For All Mankind (Apple Tv - st. 1 e 2)
Druk - Un Altro Giro (Thomas Vinterberg)
Black Country, New Road - For the first time
Pino Palladino & Blake Mills - Notes with attachements
Judas & The Black Messiah (Shaka King)
Better Days (Derek Tsang)
Wu Ming 1 - La Q di Qomplotto (Ed. Alegre)
Bad Luck Banging or Loony Porn (Radu Jade)
Gloria Mundi (Robert Guediguian)
Bryan Washington - Promesse (NN Edit.)
Mare of Eastown (HBO miniserie)
Madre (Bong Joon-ho)
Madlib - Sound Ancestors
Estate '85 (Francois Ozon)
Michele Vaccari - Urla sempre, Primavera (NN Ed.)
The Suicide Squad - Missione Suicida (James Gunn)
Benjamin Labatut - Quando abbiamo smesso di capire il mondo (Adelphi)
Marx può aspettare (Marco Bellocchio)
Paolo Angeli - Jar'a
La Ferrovia Sotteranea (Prime - st.1)
Floating Points/Pharoah Sanders/London Symphony Orchestra - Promises
Hervè Le Tellier - L'Anomalia (La Nave di Teseo)
Franco "Bifo" Berardi - E:La congiunzione (Not Nero Ed.)
Summer Of Soul...or When the Revolution Could Not Be Televised (Ahmir "Questlove" Thompson)
Il Collezionista di Carte (Paul Schrader)
Dune (Dennis Villeneuve)
Qui rido io (Mario Martone)
Moor Mother - Black Encyclopedia of The Air
Oyvind Torseter - Mule Boy e il Troll dal cuore strappato (Beisler Ediz.)
Drive My Car (Hamaguchi Ryusuke)
Scene da un matrimonio (HBO miniserie)
Petite Maman (Céline Sciamma)
Enrico Ghezzi - L'Acquario di quello che manca (La Nave di Teseo)
Mark Lanegan - Sing backwards and weep (Hank Off.)
Little Simz - Sometimes I might be introverse
BAC Nord (Cèdric Jimenez)
Daniel Bachman - Axacan
Low - Hey What
France (Bruno Dumont)
Mark Fisher - Scegli le tue armi. Scritti sulla Musica (Minimum Fax)
Days (Tsai Ming-liang)
Lamb (Valdimar Joàhannsonn)
Annette (Leos Carax)
Sir Gawain e Il Cavaliere Verde (David Lowery)
The Beatles: Get Back (Peter Jackson - Disney+)
Benedetta (Paul Verhoeven)
Jonathan Franzen - Crossroads (Einaudi)
In The Earth (Ben Weathley)
Irreversible Entanglements - Open the Gate
Zero and Ones (Abel Ferrara)
L'Rain - Fatigue
West Side Story (Steven Spielberg) 
DAU. Natasha (Ilya Khrzhanovsky)
Belfast (Kenneth Branagh)
Yellowstone (St.1-4 Paramount)

martedì 21 dicembre 2021

West Side Story di Steven Spielberg

Lo avevano già fatto Coppola (Sulle ali dell’arcobaleno, Un sogno lungo un giorno), Scorsese (New York, New York), De Palma (Il fantasma del palcoscenico), Altman (Nashville, Radio America). Lo ha fatto tutta la vita Demme. Del gruppo dei più grandi cineasti emersi tra la seconda metà degli anni ’60 e l’inizio dei ’70, all’appello mancava solo Spielberg. Ma West Side Story è davvero il suo primo musical? Forse lo è integralmente se guardiamo alle forme classiche del genere a partire dagli anni Venti del secolo scorso. Ma tranne Scorsese e Coppola, negli altri casi ci sono travolgenti imperfezioni, contaminazioni. Tra Broadway e il film-concerto, tra il palcoscenico e la strada. Il cinema di Spielberg in passato è stato pieno di impurità musical: la comunicazione tra gli umani e gli extraterrestri di Incontri ravvicinati del terzo tipo, i movimenti danzanti di Harrison Ford nei quattro film su Indiana Jones e di Leonardo DiCaprio in Prova a prendermi, i sogni impossibili con le luci dell’aldilà di Always.

West Side Story ha il look del remake fedelissimo. In parte lo è, in parte no. E in parte Spielberg se ne è impossessato con una grandissima, incontrollata, immensa dichiarazoone d’amore al genere. Come nel musical del 1961 dell’accoppiata Robert Wise-Jerome Robbins che ha avuto un grandissimo successo e ha vinto 10 Oscar che è arrivato poco prima della grande crisi del genere e l’arrivo della New Hollywood, al centro della vicenda si frontaggiano sempre due bande rivali per il controllo del territorio. Da una parte ci sono i Jets, immigrati europei di seconda generazione. Dall’altra gli Sharks, un gruppo di portoricani arrivati a New York di recente. Mentre i quartieri della città sono in piena trasformazione urbanistica, ad alimentare ancora di più lo scontro tra le due gang c’è l’incontro tra Tony e Maria. Lui è il co-fondatore dei Jets da cui si è allontanato dopo essere stato in carcere e ora lavora da Doc’s, il negozio gestito da Valentina. Lei è la sorella di Bernardo, aspirante pugile e leader degli Sharks che ha già pensato di accasarla con il timido Chino da cui non è attratta. Si vedono al ballo e tra loro scatta subito il colpo di fulmine. Come Romeo e Giulietta, il loro è subito un amore contrastato. Ma si amano alla follia e faranno di tutto per raggiungere la felicità.

West Side Story è un film sulla memoria. Del cinema, dello stesso Spielberg. Comincia come il musical del 1961 con l’inquadratura della metropoli dall’alto. Stavolta c’è l’immagine delle gru e gli edifici in demolizioni in uno spazio dove stanno per sorgere nuovi quartieri. È il 1957. Un altro viaggio nel tempo, come quelli che hanno segnato gran parte del suo cinema, da 1941. Allarme ad Hollywood a Il colore viola, da L’impero del sole, a Schindler’s List, Salvate il soldato Ryan e Munich. Ma è anche un viaggio nella memoria di Spielberg, da quando aveva ascoltato per la prima volta le canzoni sul disco quando il regista aveva 10 anni. “West Side Story – ha detto il regista-  è stato il primo album di musica popolare entrato in casa. Non riuscivo a smettere di ascoltarlo”

Gli occhi di Spielberg oggi sono ancora quelli di un ragazzino incantato. Il musical di Broadway del 1957 viene rivisto attraverso i suoi occhi con la stessa sorpresa, lo stesso incanto dei protagonisti di E.T. davanti all’alieno o di Jurassic Park e Il mondo perduto davanti ai dinosauri. La sua versione è insieme un melodramma disperato e un film politico che racconta molto dell’America di oggi sull’immigrazione dell’era Trump e sulle violenze della polizia. Innanzitutto, contrariamente al film del 1961, ci sono molti giovani attori di origine ispanica. Poi  c’è il personaggio transessuale di Anybodys interpretato da Iris Menas. Infine c’è un nuovo numero musical, La Borinqueña, che è l’inno portoricano scritto nel 19° secolo dopo una delle prime grandi rivolte popolari per l’indipendenza del paese nel 1868. Ma è anche, e soprattutto, una danza, di suoni, musica e colori, dove la fotografia di Janusz Kaminski crea uno spettacolo pirotecnico tra riflessi sul pavimento, le ombre sul lenzuolo nel bacio tra Bernardo e Anita (il cinema dietro lo schermo), le luci che si riflettono nell’acqua o l’immagine di Maria (bravissima Rachel Zegler, al suo primo film, nel ruolo che è stato di Natalie Wood) davanti allo specchio mentre si mette il rossetto.

West Side Story è pura magia. Violento ed emozionante. C’è la versione originale con tutto il cuore di Spielberg con la passione che, nei celebri numeri Maria e Tonight – con Tony che si arrampica sul balcone e tutta la seduzione e la passione sono filmati con i volti separati dalla griglia della scala che li tiene separati – divampa e diventa incontrollabile. Spielberg mostra lo stupro e la morte come in un film di guerra, dialoga continuamente con il film precedente anche con il il corpo di Rita Moreno che nel film di Wise-Robbins era stata premiata come miglior attrice non protagonista per il personaggio di Anita e qui invece interpreta Valentina, la proprietaria del negozio dove lavora Tony che sostituisce il personaggio di Doc nella versione del 1961. Ma poi lascia riemergere la storia dall’ombra come Lincoln, ritrova l’euforia del genere con i cocomeri sganciati dal camion dove gli oggetti giocano e ballano come in un film di Gene Kelly e Stanley Donen.

I protagonisti potrebbero uscire dallo schermo e ballare con noi, a cominciare da Ansel Elgort che ci sposta da una direzione all’altra come al volante di Baby Driver.  Tra ombra e luce, desiderio e malinconia, West Side Story è uno dei più bei musical di sempre. Non è più un omaggio al genere, non si tratta di nessuna esercitazione. Sono tutti i sogni di Spielberg bambino che si mescolano con quelli dei suoi personaggi bambini. Così il cinema più serio e politico del regista e quello più giocoso e infantile trovano stavolta l’abbraccio più bello.

Pubblicato su sentieriselvaggi.it, 20 Dicembre 2021 di Simone Emiliani

 


lunedì 13 dicembre 2021

Zero And Ones di Abel Ferrara, 2021

Edoardo Bruno fu il primo a cogliere l’anima nascosta da profezia di quel discusso documentario di Ferrara (Quanto al futuro, ascolti: i suoi figli fascisti veleggeranno verso i mondi della Nuova Preistoria), e chissà cosa direbbe oggi guardando Zeros and Ones, un film che è forse il vero punto d’arrivo di una parabola che nasce proprio tra le maglie delle riprese di Piazza Vittorio (qualcuno dirà anche da molto prima, dal New Rose Hotel almeno)… la stazione Termini che in quel film era costeggiata dalle interviste di fronte alla Caritas e tra le palazzine di via Giolitti (si trattava già di un ritorno sui luoghi del set di Pasolini), pochi anni dopo sarebbe diventata il palco della crocifissione finale di Tommaso – come in quella tradizione tutta italiana di “appunti per un film su”, se l’opera con Dafoe “abita” le immagini del doc precedente, Zeros and Ones (Premio per la Migliore Regia a Locarno 74) riparte dalle peregrinazioni per la Roma notturna sotto lockdown che facevano capolino nell’incredibile Sportin’ Life, e di quel progetto riprende la giovane squadra a supporto, il d.o.p. Sean Price Williams e il montatore Leonardo Daniel Bianchi.

Dai binari di quella stessa stazione Termini fa la sua comparsa nell’incipit Ethan Hawke (incrociato da Abel ai tempi di Chelsea on the rocks), rinnovando da subito la capacità di Ferrara di astrarre i luoghi quotidiani di Roma, e la loro familiarità (andrebbe, Zeros and Ones, mostrato in contrasto a certe “indagini” sull’umanità di Termini che mietono views su youtube negli ultimi tempi, condotte da volti del variopinto mondo del fitness romano…). E’ una notte qualsiasi nei corridoi deserti e sempre inquietanti della stazione dopo una certa ora, e allo stesso tempo non lo è, i soldati di pattuglia sembrano più minacciosi del solito, e le squadre che sanificano i tornelli sembrano provenire davvero dal futuro. Più avanti, il nostro protagonista vede o sogna soltanto di vedere al binocolo la cupola del Vaticano e di Castel Sant’Angelo saltare in aria?

In questa notte infinita in cui è piombata la città, e il suo cuore nero dell’Esquilino, non è più possibile che alcuna verità venga restituita dai mille video sgranati di smartphone, tablet, obiettivi di drone e videochiamate, che inframmezzano il film: Hawke cercherà di sventare questo attentato alla santa sede muovendosi tra le anime sonnambule di un gioco di spie che attraversa i cospiratori russi negli hotel di lusso, gli smanettoni cinesi nei negozietti di riparazioni di cellulari, le palestre improvvisate nei garage, le chiese e le moschee, fino ad infilarsi nei giacigli di cartone dei senzatetto, sotto i porticati. Le domande sono sempre e soltanto due, quelle fondamentali: where? e when?

Difficile trovare una visione più disperata del punto in cui è piombata l’umanità in questa epoca-Covid: il finale porta con sé una carica di ambiguità destinata a restare – in questo risveglio alla normalità di Colle Oppio mentre albeggia, le persone si comportano come nulla fosse perché abbiamo vissuto tutti un incubo lungo una notte intera, o perché ignare del pericolo dell’esercito che li ha già tutti nel mirino, pronto a far fuoco? E’ davvero una bambina che passeggia per strada, sorridente e saltellante, il nuovo nemico pubblico numero uno di questo Stato?

Zeros and Ones è un film genuinamente cyberpunk (già dal titolo “in codice binario”…), che somiglia al Ferrara di fine anni ’90/primi 2000, e anche un po’ a certi esperimenti sci-fi/spionistici di Olivier Assayas del periodo, tra Demonlover e Boarding Gate: come in Blackout di Ferrara, la questione centrale riguarda lo sdoppiamento di personalità, e il raddoppio esponenziale, da curva di Moore, delle realtà possibili: il “profeta” di questa caduta del Vaticano (un anarchico? un comunista? un rivoluzionario…) è il fratello gemello del protagonista, interpretato sempre da Hawke (come il Dafoe “moltiplicato” di Siberia), e il video dell’interrogatorio in cui viene torchiato da Valerio Mastandrea (!) si trasforma in un monologo in cui il personaggio tiene insieme il suo sermone con citazioni di Woody Guthrie (mentre altrove ricorrono Cristo e San Francesco). Come a dire che non riusciremo più a riavvolgere il nastro fino all’immagine primaria (la straordinaria sequenza nella sezione iniziale in cui Hawke si aggira per il porticato di San Pietro con la sua videocamera), la coltre dei riferimenti e dei filtri applicati sulla Storia è ormai troppo stratificata per far sì che il reale possa essere ancora scoperto a occhio nudo.

Pubblicato su sentieriselvaggi.it il 13-08-2021, di Sergio Sozzo