Durante una pandemia virale i due ricercatori Martin e Alma si avventurano in una foresta nei dintorni di Bristol per indagare sulla recente scomparsa di alcuni colleghi, tra i quali la dottoressa Olivia Wendle, ex-compagna di Martin. Aggrediti di notte da sconosciuti, Martin e Alma incontrano poi Zach, abbrutito dalla vita nei boschi, che si offre di aiutare Martin per una ferita al piede che si è procurato…
Scienza e anti-scienza. In epoca di pandemia è diventato uno
dei temi più ricorrenti di qualsiasi dibattito intorno ai destini della cultura
mondiale, in modo particolare di quella occidentale, da secoli robustamente
radicata in un approccio razionalistico. In questo senso Ben Wheatley propone
con la sua ultima fatica, In the Earth, una riflessione che dagli apparenti
confini del cinema horror di genere si addentra verso territori filosofici.
Innanzitutto, la scelta dell’autore britannico è distante dall’horror canonico
dal punto di vista realizzativo ed estetico. Wheatley non si affida infatti
alla sovrabbondanza e prepotenza degli effetti speciali, bensì colloca tutta la
sua vicenda nelle cornici di un orrore reale, fatto di location dal vero e di
corpi che con estrema verosimiglianza (ovviamente frutto di un artificio, ma
ben occultato) si lacerano e sono lacerati. La realizzazione di In the Earth è
avvenuta in circostanze eccezionali. Durante il lockdown Wheatley ha infatti
deciso di intraprendere in segreto le riprese corsare del suo film, trovandosi
dunque costretto a limitare numero d’attori, troupe e giorni dedicati agli
shot. In tutto le riprese si sono svolte in un paio di settimane; poi
ovviamente vi è stata un’evidente e laboriosa fase di postproduzione, ma il
risultato finale è comunque sorprendente. Al fondo, Wheatley sembra rafforzato
nel suo intento dalla potenza del soggetto al quale si è applicato.
Innanzitutto In the Earth prende le mosse dalla pandemia in atto. Come qua e là
sta accadendo in varie opere cinematografiche, a poco a poco il tema pandemico
si è avviato a occupare un proprio spazio d’espressione, e in tal senso
Wheatley mette al centro del proprio racconto una coppia di ricercatori che
dopo il lockdown britannico si avventurano alla ricerca di colleghi scomparsi
in una foresta nei pressi di Bristol. È una riscoperta della natura, in tutti i
sensi. Non si tratta soltanto di passare notti sotto una tenda, all’aria
aperta, dopo aver vissuto l’esperienza della segregazione in casa. Si tratta,
anche e soprattutto, di ritrovarsi in pieno scontro con una natura decisamente
ostile e ominosa, e di riscoprire il rapporto Uomo-Natura come fondato su
relazioni ancestrali e relativi riti. Si tratta di ritornare a contatto con un
lontano legame inestricabile in cui la Natura è affamata e schiavizza l’Uomo
richiedendo atti e procedimenti anche violenti per garantirsi pace, floridezza
e clemenza.
In qualche modo, il percorso intrapreso dai protagonisti Martin e Alma è una scala discendente (in ottica razionalistica) o ascendente (in ottica magico-ritualistica) verso primitive strutture di pensiero che mostrano la Natura in tutta la sua intensa carica di aggressività. Sorta di aggiornamento di Un tranquillo weekend di paura (John Boorman, 1972) con l’aggiunta dell’elemento fantastico/ancestrale, In the Earth si delinea dunque come il racconto di una profonda crisi che da individuale può espandersi in ottica socio-antropologica. Forzando la mano dell’interpretazione (ma neanche troppo, in fondo), dietro al calvario di Martin e Alma è facile veder fluttuare il modello scientifico che ha dilagato nella gestione mondiale della pandemia colto nel suo momento di massima fiducia, efficacia e splendore e al contempo sul ciglio del baratro di una profondissima crisi. La risposta è sempre meno sufficiente delle aspettative. Lo scacco e la crisi sono dovuti alle proporzioni del fenomeno da combattere. Martin e Alma si scontrano e vivono sulla propria pelle (di più, e più letteralmente, non si potrebbe…) il conflitto con il fenomeno illeggibile, restandone frastornati e poi stritolati. C’è chi ci è rimasto già sotto, dedicandosi a orrendi riti condotti sul corpo di vittime sacrificali. C’è chi (almeno apparentemente) trepida sul filo del rasoio tra razionalismo scientifico e stupore irrazionale. La scienza è comunque in scacco, travolta dal fenomeno, che nella sua insostenibile violenza o faticosa leggibilità impedisce anche la possibilità stessa della risposta.
Film complesso, profondamente stratificato, In the Earth
conserva anche una superficie di pura e semplice meraviglia audiovisiva dagli
esiti davvero sorprendenti e di rara efficacia. Se Ben Wheatley percorre strade
verso una sorta di realismo filosofico intorno all’horror, d’altro canto i poco
frequenti effetti speciali sono utilizzati con stupefacente sapienza. Ben
lontano dall’idea dell’effetto speciale che giustifica se stesso, finalizzato
esclusivamente alla meraviglia dell’occhio fino alla nausea e all’assopimento,
l’autore connette intensamente lo stupore audiovisivo a uno stringente percorso
di senso. Pensiamo in particolare alle terrificanti e caleidoscopiche sequenze
finali, dove l’orrore si tramuta in puro fastidio percettivo, conseguito
tramite l’uso sagacemente combinato di suoni e colori. D’altro canto, nel più
puro spirito del torture movie, In the Earth propone alcune sequenze tra le più
rabbrividenti viste di recente al cinema. Tra amputazioni, cauterizzazioni,
tagli e ricuciture di varia natura, il corpo del malcapitato Martin si tramuta
in una letterale mappa sacrificale dove l’orrore si carica di toni ai limiti
dell’intollerabile proprio perché calato in un contesto di realistica
credibilità. Intorno al piede martoriato di Martin, per dire, non c’è alcun
sovrabbondante effetto speciale a rendere iperrealistica, e paradossalmente
irrealistica, l’atmosfera generale e quello specifico brano di racconto. Accade
lo stesso con la riscoperta di feroci armi rudimentali, rispolverate per
angoscianti cacce all’uomo nella foresta – pensiamo all’inseguimento con arco e
frecce. È anche forte la componente ironica, grazie alla quale si è in grado di
sostenere una sequela di torture riconvertendo il ribrezzo in una cinica risata
liberatoria.
È chiaro a tutti che la sospensione dell’incredulità
richiesta è altissima. In the Earth propone una sfida alla quale si può
scegliere di stare o non stare. Passato al vaglio di una visione che cerca
logica e coerenza ad ogni costo, il film di Wheatley può essere smontato pezzo
per pezzo (e fatto a pezzi) in un secondo. Perché Martin e Alma, quando
possono, non scappano? Possono davvero fidarsi così tanto del loro ultimo
incontro fatto nel bosco? Possibile che siano così ingenui? E la passione per
la ricerca scientifica davvero può giustificare tutto fino a questo punto, visto
che Martin rimane nella foresta con un piede semi-amputato e un paio di
cuciture sulle braccia? Domande che è meglio non farsi, che non bisogna farsi.
Perché lo spettacolo proposto da Wheatley, ancorché ammorbidito da sottili
notazioni ironiche e autoironiche, è più intelligente dei nostri insormontabili
scrupoli di realismo e credibilità.
Girando in pochi giorni e con mezzi limitati, Ben Wheatley è
dunque capace di proporre un’opera caratterizzata da una frastornante
alternanza tra realismo e barocco. In the Earth è il prodotto di un immaginario
e di uno sguardo cinematografico decisamente originali, che possono anche
respingere l’adesione dello spettatore. Prendere o lasciare. Resta comunque il
dato di un cinema che dal genere affonda verso stratificate riflessioni. Cinema
che affonda nella terra, nelle radici di un lontano rapporto preculturale tra
Uomo e Natura. Scuote, incolla alla poltrona, spaventa, stordisce. Può essere
respingente, ma è indubbiamente un cinema vivace. La vivacità sta nelle idee.
Pubblicato su quinlan.it il 11/01/2021, di Massimiliano
Schiavoni