martedì 30 novembre 2021

IN THE EARTH di Ben Wheatley (2021)


Durante una pandemia virale i due ricercatori Martin e Alma si avventurano in una foresta nei dintorni di Bristol per indagare sulla recente scomparsa di alcuni colleghi, tra i quali la dottoressa Olivia Wendle, ex-compagna di Martin. Aggrediti di notte da sconosciuti, Martin e Alma incontrano poi Zach, abbrutito dalla vita nei boschi, che si offre di aiutare Martin per una ferita al piede che si è procurato…

Scienza e anti-scienza. In epoca di pandemia è diventato uno dei temi più ricorrenti di qualsiasi dibattito intorno ai destini della cultura mondiale, in modo particolare di quella occidentale, da secoli robustamente radicata in un approccio razionalistico. In questo senso Ben Wheatley propone con la sua ultima fatica, In the Earth, una riflessione che dagli apparenti confini del cinema horror di genere si addentra verso territori filosofici. Innanzitutto, la scelta dell’autore britannico è distante dall’horror canonico dal punto di vista realizzativo ed estetico. Wheatley non si affida infatti alla sovrabbondanza e prepotenza degli effetti speciali, bensì colloca tutta la sua vicenda nelle cornici di un orrore reale, fatto di location dal vero e di corpi che con estrema verosimiglianza (ovviamente frutto di un artificio, ma ben occultato) si lacerano e sono lacerati. La realizzazione di In the Earth è avvenuta in circostanze eccezionali. Durante il lockdown Wheatley ha infatti deciso di intraprendere in segreto le riprese corsare del suo film, trovandosi dunque costretto a limitare numero d’attori, troupe e giorni dedicati agli shot. In tutto le riprese si sono svolte in un paio di settimane; poi ovviamente vi è stata un’evidente e laboriosa fase di postproduzione, ma il risultato finale è comunque sorprendente. Al fondo, Wheatley sembra rafforzato nel suo intento dalla potenza del soggetto al quale si è applicato. Innanzitutto In the Earth prende le mosse dalla pandemia in atto. Come qua e là sta accadendo in varie opere cinematografiche, a poco a poco il tema pandemico si è avviato a occupare un proprio spazio d’espressione, e in tal senso Wheatley mette al centro del proprio racconto una coppia di ricercatori che dopo il lockdown britannico si avventurano alla ricerca di colleghi scomparsi in una foresta nei pressi di Bristol. È una riscoperta della natura, in tutti i sensi. Non si tratta soltanto di passare notti sotto una tenda, all’aria aperta, dopo aver vissuto l’esperienza della segregazione in casa. Si tratta, anche e soprattutto, di ritrovarsi in pieno scontro con una natura decisamente ostile e ominosa, e di riscoprire il rapporto Uomo-Natura come fondato su relazioni ancestrali e relativi riti. Si tratta di ritornare a contatto con un lontano legame inestricabile in cui la Natura è affamata e schiavizza l’Uomo richiedendo atti e procedimenti anche violenti per garantirsi pace, floridezza e clemenza.

In qualche modo, il percorso intrapreso dai protagonisti Martin e Alma è una scala discendente (in ottica razionalistica) o ascendente (in ottica magico-ritualistica) verso primitive strutture di pensiero che mostrano la Natura in tutta la sua intensa carica di aggressività. Sorta di aggiornamento di Un tranquillo weekend di paura (John Boorman, 1972) con l’aggiunta dell’elemento fantastico/ancestrale, In the Earth si delinea dunque come il racconto di una profonda crisi che da individuale può espandersi in ottica socio-antropologica. Forzando la mano dell’interpretazione (ma neanche troppo, in fondo), dietro al calvario di Martin e Alma è facile veder fluttuare il modello scientifico che ha dilagato nella gestione mondiale della pandemia colto nel suo momento di massima fiducia, efficacia e splendore e al contempo sul ciglio del baratro di una profondissima crisi. La risposta è sempre meno sufficiente delle aspettative. Lo scacco e la crisi sono dovuti alle proporzioni del fenomeno da combattere. Martin e Alma si scontrano e vivono sulla propria pelle (di più, e più letteralmente, non si potrebbe…) il conflitto con il fenomeno illeggibile, restandone frastornati e poi stritolati. C’è chi ci è rimasto già sotto, dedicandosi a orrendi riti condotti sul corpo di vittime sacrificali. C’è chi (almeno apparentemente) trepida sul filo del rasoio tra razionalismo scientifico e stupore irrazionale. La scienza è comunque in scacco, travolta dal fenomeno, che nella sua insostenibile violenza o faticosa leggibilità impedisce anche la possibilità stessa della risposta. 

Film complesso, profondamente stratificato, In the Earth conserva anche una superficie di pura e semplice meraviglia audiovisiva dagli esiti davvero sorprendenti e di rara efficacia. Se Ben Wheatley percorre strade verso una sorta di realismo filosofico intorno all’horror, d’altro canto i poco frequenti effetti speciali sono utilizzati con stupefacente sapienza. Ben lontano dall’idea dell’effetto speciale che giustifica se stesso, finalizzato esclusivamente alla meraviglia dell’occhio fino alla nausea e all’assopimento, l’autore connette intensamente lo stupore audiovisivo a uno stringente percorso di senso. Pensiamo in particolare alle terrificanti e caleidoscopiche sequenze finali, dove l’orrore si tramuta in puro fastidio percettivo, conseguito tramite l’uso sagacemente combinato di suoni e colori. D’altro canto, nel più puro spirito del torture movie, In the Earth propone alcune sequenze tra le più rabbrividenti viste di recente al cinema. Tra amputazioni, cauterizzazioni, tagli e ricuciture di varia natura, il corpo del malcapitato Martin si tramuta in una letterale mappa sacrificale dove l’orrore si carica di toni ai limiti dell’intollerabile proprio perché calato in un contesto di realistica credibilità. Intorno al piede martoriato di Martin, per dire, non c’è alcun sovrabbondante effetto speciale a rendere iperrealistica, e paradossalmente irrealistica, l’atmosfera generale e quello specifico brano di racconto. Accade lo stesso con la riscoperta di feroci armi rudimentali, rispolverate per angoscianti cacce all’uomo nella foresta – pensiamo all’inseguimento con arco e frecce. È anche forte la componente ironica, grazie alla quale si è in grado di sostenere una sequela di torture riconvertendo il ribrezzo in una cinica risata liberatoria.

È chiaro a tutti che la sospensione dell’incredulità richiesta è altissima. In the Earth propone una sfida alla quale si può scegliere di stare o non stare. Passato al vaglio di una visione che cerca logica e coerenza ad ogni costo, il film di Wheatley può essere smontato pezzo per pezzo (e fatto a pezzi) in un secondo. Perché Martin e Alma, quando possono, non scappano? Possono davvero fidarsi così tanto del loro ultimo incontro fatto nel bosco? Possibile che siano così ingenui? E la passione per la ricerca scientifica davvero può giustificare tutto fino a questo punto, visto che Martin rimane nella foresta con un piede semi-amputato e un paio di cuciture sulle braccia? Domande che è meglio non farsi, che non bisogna farsi. Perché lo spettacolo proposto da Wheatley, ancorché ammorbidito da sottili notazioni ironiche e autoironiche, è più intelligente dei nostri insormontabili scrupoli di realismo e credibilità.

Girando in pochi giorni e con mezzi limitati, Ben Wheatley è dunque capace di proporre un’opera caratterizzata da una frastornante alternanza tra realismo e barocco. In the Earth è il prodotto di un immaginario e di uno sguardo cinematografico decisamente originali, che possono anche respingere l’adesione dello spettatore. Prendere o lasciare. Resta comunque il dato di un cinema che dal genere affonda verso stratificate riflessioni. Cinema che affonda nella terra, nelle radici di un lontano rapporto preculturale tra Uomo e Natura. Scuote, incolla alla poltrona, spaventa, stordisce. Può essere respingente, ma è indubbiamente un cinema vivace. La vivacità sta nelle idee.

Pubblicato su quinlan.it il 11/01/2021, di Massimiliano Schiavoni