lunedì 26 agosto 2019

PARASITE di Bong Joon-ho (2019)



da www.sentieriselvaggi.it , 22 Maggio 2019 di Simone Emiliani

La strada, gli interni. Dove c’è spesso qualcosa che viene nascosta. Il cinema del coreano Bong Joon-ho è spesso pieno di zone d’ombra. Che si possono manifestare a livello più intimista come in Mother. Ma che possono costituire anche il nucleo narrativo principale (i delitti di Memories of Murder). Oppure manifestarsi anche al livello di spazi. Il treno di Snowpiercer sembra avereuna conformazione più irregolare nello scantinato di Parasite. Però appaiono luoghi infiniti. Che dietro una porta, se ne apre ancora un’altra.

Forse anche Parasite, come The Host, è un film di mostri. Si, non è sci-fi. Anche se il titolo potrebbe ingannare. Perchè dietro ogni volto dei protagonisti, sembra nascondersene un altro. Quasi satanico. Come se fossero pronti a un’improvvisa mutazione. Questo sicuramente avviene per tutta la famiglia Ki-taek. Vive in uno scantinato, cerca ai collegarsi a qualunque wi-fi degli altri. E padre, madre e i due figli sono tutti disoccupati. Il figlio però trova un impiego come insegnante di inglese della figlia della ricca famiglia Park. Visti gli ottimi risultati, riesce a far assumere tutti gli altri. Poi però, una scoperta inaspettata scatena una serie di eventi incontrollabili.

Dopo la trasferta statunitense di Snowpiercer e Okja, il cineasta coreano torna in patria con una commedia nera che si mescola alla satira sociale. Dove ogni azione sembra tutta controllata al millimetro. Soprattutto nella scena dove le due famiglie si trovano, all’insaputa dell’altra, nello stesso soggiorno. Lo scarto sociale è diretto. Ed entra in gioco un’altro elemento di Bong Joon-hoo, ossia quello dell’identità. I Ki-taek guardano i Park per prenderne il posto. Il metodo è sicuro. Anche funzionale. Ma schematico. C’è spesso un’inquadratura di troppo nel suo cinema, una disperazione e, insieme, un umorismo sempre controllati. Una recitazione nella recitazione che diventa ripetitiva una volta svelato il gioco. Traiettorie geometriche che poi si spezzano come nella festa del bambino. E in cui scatena quel delirio che puzza ancora di forma. Cerca continuamente lo spiazzamento. Anche con l’uso di brani particolari come In ginocchio da te di Gianni Morandi. Ma in realtà la strada è molto sicura. Non c’è nessuna intenzione di smarrirsi.

Bong joon-ho usa i suoi protagonisti come pedine per il suo gioco al massacro. Haneke non è poi così lontano. Ricicla il proprio immaginario visivo come nella scena della pioggia che ha allagato l’abitazione dei Ki-taek. Nella distinzione di classe non gli interessa il mistero del’ottimo Burning di Lee Chang-dong, in concorso proprio l’anno scorso. E le sue famiglie sembrano lì proprio per il tempo del film. Nascono e muoiono con lo script. Tutto all’opposto di quelle di Kore-eda. Di cui si vorrebbe vedere la vita che c’era prima e quella dopo.


da www.quinlan.it, 23 Maggio 2019 di Enrico Azzano

Ki-taek, Chung-sook, Ki-jung e Ki-woo. Padre, madre, figlia e figlio. La famiglia di Ki-taek è molto unita, ma sono tutti disoccupati, vivono in un appartamento fatiscente e sembrano condannati a un futuro desolante. Grazie alla raccomandazione di un amico, studente in una prestigiosa università, il giovane Ki-woo riesce a ottenere un lavoro ben retribuito: sarà l’insegnante d’inglese di Da-hye, figlia adolescente della ricca famiglia Park… 

Che cos’è Parasite?
Una prima possibile risposta.

Il musicarello è un sottogenere cinematografico italiano, in gran voga negli anni Sessanta. Il termine è gergale, un po’ come i sandaloni, ma calza a pennello. Ci son passati un po’ tutti: Domenico Modugno, Fred Buscaglione, Adriano Celentano, Mina, Teddy Reno, Tony Dallara, Little Tony, Bobby Solo, Caterina Caselli e via discorrendo. Sì, anche Gianni Morandi. Tra i vari registi che hanno frequentato il genere, Ettore M. Fizzarotti è stato tra i più prolifici, quello con la produzione più significativa: Una lacrima sul viso (1964), Non son degno di te (1965), Perdono (1966), Stasera mi butto (1967), per citarne alcuni. Poi, certo, anche In ginocchio da te (1964) con Gianni Morandi, Laura Efrikian, Margaret Lee e Nino Taranto. Rapidamente sulla trama: Gianni parte per Napoli per il servizio militare, si innamora di Carla, la figlia del maresciallo, ma la tradisce con la bella e soprattutto ricca Beatrice. Ovviamente tornerà, in ginocchio da lei. Il film è un veicolo pubblicitario per l’omonima canzone, e viceversa. La differenza di classe, le frizioni pur ingenue e pallidissime tra poveri e ricchi, è un tema ricorrente nei musicarelli.

Che cos’è Parasite?
Una seconda possibile risposta.

Volendo impuntarsi su Noi (US), horror apertamente e splendidamente socio-politico, potremmo sottolineare alcune smagliature narrative, forzature che fanno parte del gioco e che giustificano allegramente la sagace struttura geometrica messa in piedi da Jordan Peele. Un sotto-sopra tagliente, rabbiosa metafora di una società spietata e impermeabile. Quasi impermeabile. Molte domande restano lì, sospese: in fin dei conti, ci si riempie gli occhi col quadro generale, con l’intuizione narrativo-schematica, e si può sorvolare a cuor leggero sulle falle dei due meccanismi.
In Snowpiercer la lotta di classe era lineare, vagone dopo vagone. Un film muscolare con qualche crepa nella scrittura e nella sua geometrica struttura. L’idea della possibile via d’uscita, anche se intrisa di improbabile ottimismo, rendeva monca la metafora socio-politica e imperfetta la relativa linearità. 

Imperfezioni spazzate via dall’ultimo tassello di Bong Joon-ho: Parasite si inserisce in una poetica che si nutre da sempre di politica, stratificazioni, schemi e circolarità (ad esempio, i finali di The Host e Memories of Murder). Uno sguardo umanissimo e al contempo da puntiglioso entomologo – la sequenza degli scarafaggi, la corsa a quattro zampe su per le scale.

Che cos’è Parasite?
Una terza possibile risposta.

Nel finale di Una vita difficile di Dino Risi, Magnozzi (Alberto Sordi) rifila un celeberrimo ceffone all’affarista carogna Bracci, facendolo finire in piscina. Un finale liberatorio, consolatorio, ma non esattamente un lieto fine. Nel cinema sudcoreano, in particolare nella trilogia della vendetta di Park Chan-wook, il riscatto è inevitabilmente intriso di violenza e passa spesso attraverso qualche lama affilata – emblematica la sequenza di Mr. Vendetta in cui un disperato ex-dipendente di Park Dong-jin si autoinfligge con un coltellaccio delle terribili ferite, mentre Park lo osserva con glaciale noncuranza. Il Park di Mr.Vendetta è il talentuosissimo Song Kang-ho, capo della sbalestrata famiglia di Parasite. Vendetta e riscatto hanno varie forme, motivazioni e cause scatenanti.

Che cos’è Parasite?
Una quarta possibile risposta.

Di Parasite ci porteremo dietro/dentro alcune immagini.L’incipit, il primo fotogramma: i calzini stesi – odore e profumo sono una questione di classe. La sequenza della corsa notturna lungo quelle interminabili scale, quasi una discesa agli inferi che traccia la distanza tra ricchi e poveri. A ognuno il proprio posto. Con buona pace di Peele.

Il disco di In ginocchio da te, una perfetta parte per il tutto: l’abuso di inglesismi, le lezioni di espressione artistica, la musica lirica, l’incapacità di saper realmente valutare il valore degli oggetti, di un dipinto, della preparazione di una persona, ma anche di un piatto. Levigata apparenza e profonda ignoranza.

Il codice Morse, perché la lotta di classe è anche lotta contro se stessi. Spesso si perde.
Parasite è una commedia, un thriller, un dramma. È la calzante rappresentazione della nostra società, delle sue dinamiche – un po’ paradossalmente (ma nemmeno troppo), è anche la fotografia della rigida struttura gerarchica di Cannes, della divisione in caste e delle stesse lotte intestine tra le caste, tra i fantomatici colori dei badge. Barking Dogs Never Bite. È cinema ricco di invenzioni e intuizioni narrative, apparentemente debordanti, eppure perfettamente inserite in uno schema. Nello schema. È Peele, è Loach, ma con una stordente lucidità e un ritmo travolgente. Si ride, si ride amaro, poi non si ride più. Bong colpisce duro: il flashback e il flashforward sono come un uno-due. Destro e sinistro. Al tappeto. Dura rialzarsi.