È una cosa di cui ho bisogno? È una cosa di cui ho bisogno
adesso? Due domande bastano a Toledano e Nakache per strutturare un film alle
loro abituali regole di base, l’impegno politico ed un tono da commedia, si
tratti di fare luce sui problemi legati all’handicap come avviene in Quasi
amici, di questioni inerenti i permessi di soggiorno in Samba, o dell’affresco
corale di C’est la vie, che da una festa di matrimonio riesce a mettere in
tavola un’allegra lotta di classe. Il tema stavolta è il sovraconsumo ed il
Black Friday, con la sua spinta all’acquisto sfrenato e compulsivo, l’obiettivo
numero uno di un gruppo di manifestanti del quale fa parte Valentine, una
sempre più eclettica Noémie Merlant, che dopo le collaborazioni con Audiard,
Garrell, Sciamma e Field, interpreta stavolta il ruolo di un’attivista
ecologica. Il sistema capitalistico, che fa della mercificazione l’unica
rappresentazione del mondo e trova la complicità delle banche, non fa che
accelerare la rincorsa verso il disastro ambientale.
Alle loro battaglie fatte di azioni dimostrative, proteste
di piazza, blitz nei convegni o nelle sfilate di moda, fino ai picchetti
all’ingresso dei centri commerciali, si intrecciano le storie di Albert e
Bruno, entrambi rovinati dai debiti, e che cercano di risollevarsi dalla
catastrofe finanziaria con l’aiuto di Henri, volte e voce di Mathieu Amalric.
Albert è un addetto all’aeroporto, ma ormai non ha più neanche una casa dove
vivere. Bruno è depresso dopo la separazione dalla moglie ed anche lui è finito
sul lastrico. L’inerzia iniziale si muove da un incontro fortuito, poi una
trama sentimentale, con Valentine trasformata in un pudico oggetto del
desiderio, si sviluppa di pari passo con la storia principale. Usando epiteti
come Cactus, Pulcino, Lexotan, praticando sessione di abbracci, rinunciando ai
regali di Natale o parlando di una patologia contemporanea, l’eco-ansia,
vengono affrontati discorsi importanti, che non rischiano mai di diventare
noiosi in virtù di un montaggio pieno di ritmo. I due registi francesi anche
stavolta non rinunciano al sorriso, a quel fondo di ironia che si rifiuta di
finire nella tragedia per non alzare bandiera bianca. Il risultato è ottimo, fa
suonare un campanello d’allarme ma resta aggrappato ad una speranza d’amore, alla
voglia di guardarsi negli occhi e ballare un valzer prima di scambiarsi un
tenero bacio.
Pubblicato su
sentieriselvaggi.it, 25 Novembre 2023 di Antonio D'Onofrio
Di questi tempi, la miglior commedia all’italiana la girano
i francesi. Presentato Fuori Concorso alla 41ma edizione del Torino Film
Festival, Un anno difficile, regia di Olivier Nakache e Éric Toledano, quelli
di Quasi Amici – Intouchables, arriva nelle sale italiane il 30 novembre 2023
per I Wonder Pictures. Commedia degli equivoci e degli estremi – con un occhio
strizzato alla contemporaneità, i suoi (apocalittici) problemi e una buona dose
di satira sociale – giocata su un’ironica consonanza cromatica, quella che
serve al film per legare il destino dei protagonisti. Il colore è il verde e la
cosa merita una spiegazione.
Verde, perché al verde sono, finanziariamente prosciugati,
Pio Marmaï e Jonathan Cohen, iperconsumisti e spendaccioni. Verde, ma sarebbe meglio
dire green, come sottolineato dall’azzeccato lancio promozionale, è Noemie
Merlant, paladina dell’ambientalismo intransigente. Il film mette a confronto
due opposte filosofie, polarizzate ulteriormente dai dibattiti pandemici:
consumismo e minimalismo ambientalista. L’idea è di farli scontrare per vedere
cosa succede dopo. Cosa succede dopo, è un problema che Un anno difficile
affronta mescolando risate e un retrogusto amarognolo che ricorda il modo con
cui, dalle nostre parti, si usavano girare le commedie migliori. Noi abbiamo
scordato la ricetta, i francesi hanno riempito il vuoto.
Comincia, Un anno difficile, con uno scoppiettante accenno
di satira politica, un sottofondo malizioso per una scabrosa verità
esistenziale. Una carrellata di messaggi istituzionali a ritroso nel tempo, da
Hollande a Pompidou: i Presidenti della Repubblica Francese a reti unificate
ricordano ai compatrioti quanto difficile è stato l’anno appena trascorso, o
quello che verrà. A quanto pare, suggeriscono Olivier Nakache e Éric Toledano,
ci sono sempre e solo anni difficili, perchè una vita costruita
sull’accumulazione, sul consumo sfrenato, sul principio del più è meglio, porta
solo insoddisfazione. Raccontatelo ad Albert (Pio Marmaï) e Bruno (Jonathan
Cohen).
Il primo prende d’assalto i grandi magazzini per il Black
Friday con ferocia animalesca, l’altro è sull’orlo del suicidio, sommerso dai
debiti e con l’ufficiale giudiziario che gli ha svuotato casa, alla faccia del
minimalismo. Quello di Valentine (Noemie Merlant) per esempio. Guida un gruppo
ambientalista, soffre di ecoansia – è una cosa seria, la fa sentire
contemporaneamente vittima e colpevole per l’emergenza climatica – e a casa non
ha molto perché sente di poter vivere così, con il minimo indispensabile. Non
si possono immaginare due filosofie più agli antipodi. D’altronde, spiegano i
registi, è una delle contraddizioni del nostro tempo.
Si incontrano perché Albert e Bruno – frequentano un gruppo
di sostegno per persone oppresse dal sovraindebitamento guidato dal signor
Tomasi (Mathieu Amalric) – capitano un giorno, non troppo casualmente, a un
meeting dell’associazione di Valentine. Ci finiscono sedotti dalla promessa di
cibo e birra gratis. Vogliono solo scroccare, niente di ideologico, ma una cosa
tira l’altra. E poi sono entrambi invaghiti della bella Valentine. Il gioco è
fatto: i due ambientalisti più improbabili e meno credibili al mondo scelgono
finalmente da che parte stare. Alla loro maniera, tra un sotterfugio e l’altro,
senza scordare il consumismo e l’impellente bisogno di risolvere la situazione
debitoria.
A parlare di commedia all’italiana, con riferimento
all’impasto tematico e alle psicologie di Un anno difficile, sono proprio
Olivier Nakache e Éric Toledano. Un film francese, dall’anima e il cuore molto italiano.
Resta da vedere come e perché. La commedia all’italiana nasce come evoluzione
pragmatica del neorealismo. Mantiene una spiccata propensione per l’analisi
sociale e un fondo realista ma cambia tono, puntando tutto sull’umorismo. Per
due ragioni: è il modo migliore per sfuggire alla censura e poi una scomoda
verità, detta ridendo, piace al pubblico più di una scomoda verità, punto. La
satira sociale, l’attenzione per la contemporaneità, sono elementi centrali, ma
non è su questo versante che si misura “l’italianità” del film.
È altrove, nell’equilibrio instabile di vizi e virtù dei
protagonisti maschili. Pio Marmaï e Jonathan Cohen danno vita a due antieroi
che non avrebbero sfigurato in un cinico affresco di Dino Risi, il padre nobile
tirato in ballo dai registi in conferenza stampa. Albert e Bruno sono
personaggi di una simpatica antipatia. Forti, paradossalmente, del calore umano
nascosto nelle debolezze, nelle fragilità, nelle piccole meschinità e nel
cinismo. Noemie Merlant bilancia l’esterofilia dei partner con una recitazione
nervosa e una dolcezza intelligente. Lei, francese negli accenti e nel modo di
porsi, è sopra le righe ma con misura. Non minimalista, come la sua Valentine,
comunque molto controllata.
Di francese, Un anno difficile ha lo slancio vitale e
ottimista del finale, oltre al rifiuto ad approfondire la simpatica
cialtroneria di Bruno e Albert; un regista italiano li avrebbe degradati senza
ritegno. Commedia ambientalista, la seconda in pochi anni dopo Don’t Look Up,
chissà se basterà per aprire un filone. Consumismo e apocalisse ambientale sono
qui per restare. Un anno difficile è una commedia degli estremi perché estreme
e polarizzate sono le tendenze e i bisogni dei protagonisti. Il mantra del film
è la domanda che tutti devono porsi prima di scegliere: ho bisogno della cosa
che mi sta di fronte? I consumisti rispondono affermativamente, gli
ambientalisti negano. Il limite del film è la difficoltà a liberarsi
dell’estremismo delle premesse. Leggermente sopra le righe, con il rischio di
apparire caricaturali, i personaggi cedono a volte sul piano del realismo.
Eppure, oltre l’imperfezione, Un anno difficile è davvero la più solida e
intelligente commedia (francese) all’italiana dell’anno.
Pubblicato su cinematographe.it,
da Francesco Costantini, 28 Novembre 2023
Parte benissimo Un anno difficile, mettendo subito le carte
in tavola (e, a conti fatti, giocandosi le migliori): un serrato montaggio di
brani dei discorsi di fine anno dei vari presidenti della Repubblica francesi
degli ultimi decenni evidenzia che in tutti è contenuto il passaggio che quello
passato è stato un anno difficile, o lo sarà quello a venire; immediatamente
dopo, l’assalto degli avventori ad un negozio durante il Black Friday è
presentato in slow-motion e, soprattutto, accompagnato dalle note de La valse à
mille temps di George Brassens, che conferiscono al tutto un passo armonioso e
coreograficamente elaborato. Che la coppia di cineasti transalpini formata da
Olivier Nakache e Eric Toledano, di grande successo in patria e con un paio di
buone performance al botteghino anche da noi, soprattutto con Quasi amici,
voglia finalmente affondare il colpo senza trincerarsi dietro un ecumenismo di
fondo volto a offendere il meno possibile e ad accontentare tutto e tutti? A
nostro avviso no, o non fino in fondo, e se questa scelta continua e
inscriverli all’interno di un circuito di cineasti popolari per temi e
linguaggio (circuito al quale si è appena iscritta anche Paola Cortellesi con
C’è ancora domani, attendendo di vedere se e come varcherà le Alpi), li esclude
però dai favori di tanta critica e del pubblico più cinefilo, che stigmatizzano
spesso senz’appello i tentativi di smussare le asperità e comporre i contrasti
che spesso caratterizzano i finali scritti dalla coppia. A chi scrive piaceva
molto C’est la vie – Prendila come viene, un loro film del 2017 che ha già
avuto in Italia sia un remake ufficiale (Il giorno più bello, diretto da Andrea
Zalone, autore e sodale di Maurizio Crozza) che uno ufficioso (Il grande giorno
di Massimo Venier, con Aldo, Giovanni e Giacomo), e che si ispirava a grandi
maestri come Blake Edwards nella composizione della costruzione a cascata di
gag. Schema ripreso anche in quest’ultimo film, non a caso, nei segmenti più
riusciti.
I due protagonisti, Albert (Pio Marmaï) e Bruno (Jonathan
Coen), si arrabattano per sbarcare il lunario e sono entrambi entrati in una
spirale debitoria fatta di prestiti e crediti al consumo da cui è
difficilissimo uscire, tanto che il primo salva il secondo dal suicidio
involontariamente, mentre sta cercando di approfittarsi di lui rifilandogli
l’ennesimo oggetto inutile, una Tv ad alta definizione conquistata a botte
durante il Black Friday e poi reimmessa sul mercato a trecento euro. Tramite
Bruno, Albert fa la conoscenza di Henri Tomasi (Mathieu Amalric), un consulente
che dispensa consigli per mantenere il bilancio personale e familiare
sostenibile, e di Valentine (Noémie Merlant), una ragazza altoborghese
completamente consegnatasi alla causa ambientalista e alla lotta al
sovraconsumo. Bastano questi cenni per avere un’idea delle dinamiche pronte a
scatenarsi tra questi quattro poli principali, ma l’aggiunta di un paio di
esempi può rendere il quadro ancora più chiaro: Albert e Bruno si offrono
volontari per il ritiro di oggetti e mobilia dalle case dei ricchi
“conquistati” da questo nuovo richiamo all’essenzialità e al francescanesimo, e
ne approfittano però per rivenderli e uscire dai debiti personali; il
consulente Tomasi, prodigo di richiami alla sobrietà, si rivela ben presto
essere un giocatore d’azzardo compulsivo. Tutto narrativamente organizzato,
dunque, secondo un rodato schema a svelamento in cui ogni personaggio rivela di
avere caratteristiche comuni con il suo opposto, e che si trova a fare quel che
fa solo perché il Caso lo ha portato in una direzione piuttosto che nell’altra.
Questo approccio deterministico è anche condivisibile, e si comprende bene come
arrivi ad essere un contenitore perfetto per l’alternarsi di momenti divertenti
e intimisti, ma i Nostri somministrano meriti e colpe con un bilancino che
ottiene sì l’effetto di scacciare il manicheismo, ma che appare più come una
sorta di manuale Cencelli della responsabilità che colpisce e blandisce allo
stesso modo ogni categoria. Il grande successo di pubblico si ottiene anche in questo
modo e non c’è nulla di male, ma quando il meccanismo appare così scoperto
segnalarlo in sede d’analisi diventa obbligatorio.
Purtroppo alla scoppiettante prima parte non segue un
andamento altrettanto brillante nella seconda (c’è un evento specifico che
segna la frattura tra le due): a temi abilmente lanciati non corrispondono
approdi altrettanto validi e le potenzialità di qualche personaggio vengono
completamente sprecate. Ci riferiamo principalmente al Tomasi di Amalric,
ridotto presto a macchietta stancamente slapstick mentre sembrava incarnare una
delle contraddizioni più interessanti, ma anche a Valentine/Cactus, che non
acquista mai una soggettività propria che vada oltre il monologhetto che
riassume il suo passato, e rimane una funzione narrativa da attivare nei
percorsi degli altri. A cosa servono, poi, due brani straordinari come Little
Wing di Jimi Hendrix e The End dei Doors in quel contesto, appiccicati su scene
che non sembrano richiederne la presenza? A collegare idealmente i movimenti di
protesta attuali con quelli sessantottini? Se era questa l’intenzione,
l’obiettivo non è stato centrato. Nakache e Toledano continuano, dunque, il
loro percorso in modo tutto sommato coerente, e rimangono capaci di orchestrare
e scrivere commedie collettive formalmente “esatte”, con più di un momento
brillante; parimenti non sembrano avere, però, lo spessore culturale per
infondere ai loro copioni approdi tematici dello stesso livello delle premesse.
Per lasciare il paragone con gli anni Sessanta da loro stessi evocato,
avrebbero bisogno di uno come Terry Southern a rileggere e innervare il
copione. Certo, alla stregua del trovare epigoni contemporanei a Hendrix e
Morrison, è tutto tranne che facile.
Pubblicato su quinlan.it, 27/11/2023 di Donato D'Elia