Primo romanzo di Stephen Markley, un prodotto di
quell’Iowa Writers Workshop che rimane la miglior scuola di scrittura degli
Stati Uniti, Ohio (Einaudi Stile libero, traduzione semplicemente perfetta di
Cristiana Mennella, pp. 544, € 21,00) si apre con un funerale. A essere sepolto
è Rick Brinklan, ex star del football nel liceo di New Canaan, cittadina della
Rust Belt, l’antico cuore industriale dell’economia americana colpito dallo
spopolamento, dalla crisi del settore siderurgico e da un irreversibile decadimento
urbano. Rick, patriota senza se e senza ma, si è arruolato subito dopo l’11
settembre e ha prestato servizio in Iraq, trovandovi la morte.
L’incipit del romanzo di Markley è un omaggio così
elegante e insieme smaccato da far sospettare persino un intento parodico, e
merita di essere citato quasi per esteso: «Il feretro non conteneva nessuna
salma. La bara Star Legacy modello Platinum Rose in acciaio calibro 18, in
prestito dal Walmart locale, era solo ricoperta da una grande bandiera
americana. Ottobre era stato invaso da una precoce ondata di freddo invernale e
una corrente d’aria violenta, instabile, sfrecciava per New Canaan,
imprevedibile come i capricci di un bambino».
Il percorso del
feretro
Impossibile non pensare al «fronte freddo autunnale» che
inaugurava Le correzioni di Jonathan Franzen: un romanzo nel quale alcuni
recensori hanno visto una sorta di geniale prefigurazione dell’11 settembre, ma
che soprattutto sembra aver fissato un nuovo modello per la narrativa
americana, segnato da un recupero del realismo, ma soprattutto dalla stipula di
un vero e proprio patto con il lettore, al quale non si chiedono sforzi erculei
o voli pindarici, ma solo la volontà di seguire un intreccio complesso di
storie e personaggi, con la garanzia che, all’ultima pagina, i conti
torneranno.
Il Preludio a Ohio prosegue sulla stessa falsariga
dell’incipit, producendosi in uno strepitoso piano-sequenza nel quale il
percorso del feretro lungo la High Street offre all’autore il destro per
enucleare, attraverso le reazioni della folla radunata sui bordi della strada,
quello che forse è il vero tema del romanzo: il tentativo di esorcizzare la
morte, che sta mietendo le sue vittime tra guerre estere e tossicodipendenze, –
aggrappandosi «all’idea di ciò che era New Canaan, dei valori che
rappresentava, le speranze che creava».
Quando però il Preludio sta per concludersi, con un twist
da romanziere postmoderno, Markley mescola le carte in tavola. «Rispetto alla
nostra storia», ci tiene a sottolineare, «la parata è importante non per le
persone che vi parteciparono ma per le persone assenti quel giorno».
I quattro protagonisti del romanzo, che prenderanno la
scena uno dopo l’altro, rivivendo spesso le stesse scene del passato e
incrociando le rispettive traiettorie, non partecipano al funerale «per ragioni
personali» (che scopriremo nel corso del romanzo), ma tornano a New Canaan sei
anni dopo, ognuno spinto da una sua motivazione, convergendo «su questa
cittadina dell’Ohio da nord, sud, est e ovest».
Il mistero nel
pacchetto
Il romanzo di Markley in realtà comincia qui: «con
quattro automobili e i relativi occupanti» e con un altro caveat in pieno stile
postmoderno: «Difficile dire dove finisca questa storia o come sia cominciata,
perché una delle cose che alla fine imparerete è che il concetto di linearità
non esiste. Esiste solo questo sogno collettivo scatenato, incasinato,
incendiario in cui nasciamo, viaggiamo e moriamo tutti».
In che cosa consista questo sogno appare evidente sin
dalla prima sezione, che ha per protagonista Bill Ashcraft: ex campioncino di
pallacanestro, rivale (anche) in amore di Rick Brinklan; progressista,
pacifista, contrario all’intervento americano e imbevuto di una retorica
anti-sistema, che a tratti rischia di farne il portavoce dell’autore (e le
pagine che ne derivano sono tra le meno convincenti del romanzo). Bill ha
lasciato da tempo New Canaan per inseguire i suoi sogni vedendoli naufragare
uno dopo l’altro; vi fa ritorno per consegnare un misterioso pacchetto a
Kaylyn, ex ragazza di Rick con la quale aveva avuto una storia, e guarda con un
misto di rabbia e disincanto una città nella cui deriva, da alcolizzato e
tossico, non può che specchiarsi. Agli ideali di gioventù è subentrato un vuoto
insensato, al quale si può forse trovare rimedio solo idealizzando i ricordi e
reclamando un tempo, quello dell’adolescenza, del liceo, nel quale a ogni lite
seguiva una pacificazione, e a ogni errore c’era sempre la possibilità di porre
rimedio.
Rievocando un pomeriggio trascorso in riva a un lago
insieme alla sua ragazza di allora e ai suoi amici, Bill tocca un momento di
struggente nostalgia, nel quale sembrano risuonare le atmosfere dolceamare di
classici adolescenziali come L’ultimo spettacolo, di Larry McMurtry: «Bill era
steso al sole vicino alla sua ragazza, languidamente, perdutamente ubriaco. A
sua memoria, fu l’ultima volta in cui erano stati giovani e basta, i litigi non
duravano, i peccati erano scevri di qualsiasi forma di cattiveria. Aveva delle
amanti, sì, ma molto amate. Faceva del male agli amici, come no, ma erano
ancora fratelli d’infanzia. Perché erano solo dei ragazzi, e quel giorno
bevvero, ballarono e risero guardando il cielo azzurro, e fu come se davvero si
potesse aggiustare e perdonare qualunque cosa».
Il sogno di Bill non gli appartiene in esclusiva ma
accomuna, con modalità differenti, anche gli altri tre personaggi che
raccolgono il testimone del racconto. E che tutti tornano a New Canaan per
recuperare un pezzo del loro passato che è andato perduto. Stacy Moore vuole
ritrovare la ragazza, Lisa, che le ha fatto scoprire la propria omosessualità e
che è scomparsa senza lasciare traccia; Dan Eaton, reduce di guerra tornato
dall’Afghanistan ferito nell’anima e con un occhio in meno, ha la possibilità
di incontrare nuovamente Hailey, il suo primo e unico amore; Tina Ross, infine,
torna a New Canaan per parlare con Todd, il campioncino di football che l’ha
brutalizzata e abbandonata senza neppure concederle una spiegazione.
Prodigi tecnici
non esibiti
L’operazione di recupero, alla prova dei fatti, si
dimostra impossibile: forse perché è proprio il passato ad aver generato le
ferite di cui tutti i personaggi soffrono, quasi che le loro singole vite
fossero lo specchio fedele di una deriva che tocca il paesaggio urbano,
avvelena i rapporti sociali, precipita non solo la Rust Belt ma il Paese intero
in un abisso senza ritorno.
Ohio non è un romanzo perfetto. Non ha torto Dan Chaon,
che lo ha recensito per il New York Times, a rilevarvi una serie di eccessi
dichiarativi e di sbilanciamenti retorici che a tratti possono infastidire. Ma
le qualità prevalgono nettamente sui difetti, e fanno sì che in tutto il corso
della narrazione si susseguano prodigi di tecnica non esibita, tanto
nell’alternanza fluida tra passato e presente quanto nella capacità di evocare
i disastri della deindustrializzazione come quelli della guerra. Tanto basta
per considerare Stephen Markley un talento da seguire con attenzione, e una
delle voci destinate a segnare il romanzo americano dei prossimi anni.
Pubblicato su Il Manifesto, 24/05/2020 di Luca Briasco