martedì 17 dicembre 2013

2013 (rrr)rewind...ascolti, visioni e letture sparse

 
La quinta stagione (Peter Brosens, Jessica Woodworth)
Zero Dark Thirty (Kathryn Bigelow) 
Noi siamo infinito (Stephen Chbosky) 
To be or no to be - Vogliamo Vivere! (E. Lubitsch - 1942 v.r)
Harold Brodkey - la metà dei racconti di Storie in modo quasi classico (fandango rist.)
Post tenabras lux (Carlos Reygadas)
The Act of Killing (Joshua Oppenheimer)
Il tocco del peccato (Jia Zhangke) 
Tim Berne's Snakeoil - Shadow man 
il coro dell'Armata Rossa con  il Toto nazionale al festival di Sanremo 
Boards of Canada - Tomorrow's Harvest
Il passato (Asghar Farhadi)
 
 
The Canyons (Paul Schrader)
Robert Kirkman/Nick Spencer - Thief of Thieves (saldapress)
Lo sconosciuto del lago (Alain Guiraudie)
il basso e il volto di Mike Watt con Il Sogno Del Marinaio (Stefano Pilia, chitarra e Andrea Belfi, batteria-percussioni) in concerto
John Cheever - Una specie di solitudine (feltrinelli)
univrs live set Alva Noto  http://www.youtube.com/watch?v=2_m2Zua2ynU
David Lynch - The big dream
Tim Hecker - Virgins 
La vita di Adele (Abdellatif Kechiche)
George Saunders - Dieci dicembre (minimum fax) 
Fire! Orchestra - Exit
 
Prisoners (Dennis Villeneuve)
Hieroglyphic Being - Seer Of Cosmic   free download http://thewire.co.uk/audio/tracks/listen-to-an-exclusive-hieroglyphic-being-album
Before midnight (Richard Linklater)
Blue Valentine (Derek Cianfrance, 2010)
Savages - Silence yourself
Tom McCarthy - C (bompiani)
Mad Men (stagione 5)
Facciamola finita (Seth Rogen, Evan Goldberg)
Emmanuele Bianco - E quel poco d'amore che c'è (fandango)
Healing Force Project - Omicron Segment  http://www.electronique.it/reviewA3332C1_cd-Reviews_Healing-Force-Project_Omicron-Segment ; http://www.youtube.com/results?search_query=healing+force+project&sm=1
Jon Hopkins - Immunity
 
A Field in England (Ben Weathley) 
Rob Mazurek Octet - Skull sessions
Searching for Sugar Man (Malik Bendjelloul)   http://www.youtube.com/watch?v=ixrcYDaHils
Orange is the New Black (stagione 1 - Netflix)
Juan Aktins/Moritz Von Oswald - Borderland
Rectify (stagione 1 – Netflix)
L.B. Dub Corp - Unknown Origin
Stoker (Park-Chan Wook)
Alessandro Perissinotto - Le colpe dei padri (piemme)
Julia Holter - Loud city song
Amanti perduti/Les enfants du paradis (Marcel Carnè- 1945 v.r)
Spring Breakers (Harmony Korine)
Colin Stetson - New history warfare vol. 3 
 
Elizabeth Strout - I ragazzi Burgess (fazi)
Blackfish (Gabriela Cowperthwaite)
Oneohtrix Point Never - R Plus Seven
Yusef Lateef, Roscoe Mitchell, Adam Rudolph and Douglas Ewart - Voice Prints
The Conspiracy (Christopher MacBride)
l'emozionante virtuosismo tra Skrjabin e Bill Evans di Chick Corea (concerto per piano solo)
The Ex & Brass Unbound - Enormous door
Steven Wilson - The raven that refused to sing and other stories
Cave of Forgotten Dreams (ediz. blu-ray - Werner Herzog)
The Iceman (Ariel Vromen 2012
Adam Johnson - Il signore degli orfani (marsilio)
Il caso Kerenes (Calin Peter Netzer)
little, little Italy:
Miele (V. Golino)

disgregazioni, dubbi, delusioni e orrori assortiti:
Come un tuono (Derek Cianfrance)
Django unchained (Q. Tarantino)
Lincoln (S. Spielberg)
My Bloody Valentine - MBV
Educazione siberiana (G. Salvatores)
La grande bellezza (P. Sorrentino)
Atoms For Peace - Amok
Solo Dio perdona (Nicholas Winding Refn)
Arcade Fire - Reflektor
To the wonder (Terrence Malick)
The Grandmaster (Wong Kar-Wai)
Sacro Gra (P. Rosi) 
The Bling Ring (S. Coppola)
La migliore offerta (G. Tornatore)
Il grande Gatsby (B. Luhrmann)
Sigur Ros - Kveikur
Four Tet - Beautiful rewind

martedì 26 novembre 2013

The Canyons (2013) di Paul Schrader



Nella mia personalissima, quanto cangiante classifica dei migliori film degli ultimi 20 anni (mi verrebbe da dire di sempre, ma potrebbe suonare esagerato) ci sono almeno tre film di Paul Schrader: “Affliction (Oscar a James Coburn)” “Auto Focus” e il capolavoro “Lo spacciatore”, dal molto più eloquente titolo originale “Light Sleeper”.

Icona trasversale e non più gradita del cinema a stelle e strisce (come il quasi coetaneo Friedkin), il regista viene ricordato dal grande pubblico per  l’armaniano Richard Gere di “American Gigolo”. Il vero addicted  della settima arte lo ricorda, però, come eccelso sceneggiatore del miglior Scorsese di sempre, quello di “Toro Scatenato” e “Taxi Driver”. Proprio dal personaggio di Travis/De Niro, Schrader ha dato i suoi miglior frutti narrando storie di loser, fallimenti, disgregazione dell’America Dream (si, anche lui) tentativi più o meno vani di rinascita, critica feroce al mainstream hollywodiano.

Scritto a 4 mani con Breat Easton Ellis, The Canyons è arrivato sugli schermi anticipato dalla ovvia, banale pubblicità per le scene di nudo e scopate assortite della star tossica Lindsay Lohan e James Deen, porno divo targato US. Definito come film nichilista, thriller erotico, freddo, inutile, glaciale, è esattamente il parto che ci si poteva aspettare dal regista e dallo scrittore di American Psycho.
Finanziato attraverso il crowfounding lanciato dai due autori, è anche per questo una riflessione sulla vacuità di Hollywood come specchio dell’America/mondo, sulla morte del cinema e dei suoi pseudo-divi, raffigurata in modo evidente durante i titoli di apertura, da una matrice di cinema abbandonati e decadenti. E’ soprattuto una storia iper-cinetica di alienazione, già ampiamente scandagliata nelle carriere di Schrader ed Ellis, narrata attraverso uno sguardo solo apparentemente freddo e distaccato, dove i personaggi sembrano essere una sorta di zombie romeriani colmi di vuoto e frustrazione. Orecchie e occhi vacui perennemente puntati sui  telefoni cellulari - che giocano un ruolo predominante nello smarrimento collettivo  - inetti di fronte a tutto, anche alla perdita della vita (privata e non).
Il personaggio di Tara calza a pennello alla Lohan, quasi ricalcandone le orme da incerta starlette dannata. Sigaretta in mano, si aggira per negozi costosi, occhiali da sole oversize, si lamenta con il suo fidanzato Christian (Deen) per non riuscire più a mantenere alcuni aspetti della sua vita privata, ma "Nessuno ha più una vita privata, Tara".
Christian, così simile alla freddezza del Patrick Bateman di Ellis, a parte produrre film low-budget con i soldi della famiglia, è dedito a riprendere i ménage à trois che vedono partecipe la fidandata ex-modella, nella sua villa minimalista di Malibu, sorta di laboratorio biotech degna dei sociopatici  preferiti dallo scrittore di Less Than Zero. In procinto di avviare una nuova produzione con l’aspirante attore Ryan, è all’oscuro che Tara ha una relazione con lui. Nutrito da una serie di personaggi, che andranno inevitabilmente a convergersi, il sospetto di  Christian si trasformerà da ossessione in violenza.
Apparentemente asettico e banale, The Canyons è un grandissimo esempio di post-cinema, quello che ha abbandonato la capacità e la voglia di farci sognare, per mettere a nudo il (solito, dirà qualcuno) lato oscuro della natura umana, dei rapporti che si intersecano come sorta di germi malsani tra esseri viventi.

mercoledì 13 novembre 2013

Il Passato-Le Passé (2013) di Asghar Farhadi



Ritratto di famiglia - allargata - in un interno, cronaca intima della coppia, dramma familiare.
Senza dubbio alcuno (per chi scrive, ovviamente) uno dei Migliori Film dell’anno (uscita prevista il 25 Novembre).

Premio alla Miglior Attrice con Berenice Bejo all’ultimo festival di Cannes, Asghar Farhadi continua con il suo personale registro nel mettere in scena la vita nuda e cruda, la vita dei personaggi (noi ?), le loro tensioni nascoste e apparentemente banali, che portano irrimediabilmente ad una tardiva deflagrazione. L’apparente banalità delle storie dei suoi personaggi, esplorati nella loro profondità, viene sviluppata con una intensità e potenza all'altezza delle grandi tragedie, visuali e narrative, del passato. Il tutto senza mai perdere un approccio cinematografico di ammirevole sensibilità.
Prolungamento naturale del lavoro di Farhadi dopo " Una separazione (2011)", dove in una trama cristallizzata attorno a un evento e un luogo - qui un suicidio e la periferia parigina - la storia procede per strati e chiavi occultate, rivelazione dopo rivelazione, in una scomoda postura di dubbi e interrogativi. Per il regista iraniano, la certezza è vietata .

Marie (Berenice Bejo) accoglie il suo ex marito iraniano Ahmad (Ali Mossaffa), arrivato a Parigi per ratificare il processo di divorzio. Nel frattempo Marie ha ricostruito la sua vita con Samir , la cui moglie è in coma dopo aver tentato il suicidio. Nella casa di Marie , il velenoso passato si riproporrà a contaminare i presenti con l'arrivo di Ahmad,  in-consapevole meccanismo nel far scaturire segreti e contraddizioni interne che paralizzano le vite di Marie, la figlia Lucia e Samir .
Il peso del passato è onnipresente, testimoniato anche dalla casa di Marie, colma di oggetti d'antiquariato, segno dell'incapacità della famiglia acquisita di vivere insieme pacificamente, di lasciarsi alle spalle quegli eventi che, come barriere invisibili, si interpongono tra i protagonisti.
Ahmad, da elemento scatenante, si tramuterà in elemento pacificatore, atto a lenire le tensioni tra la famiglia, in cui i bambini reciteranno un ruolo determinante.

Un film coraggioso, che orchestra magistralmente un avanti e indietro tra presente e passato, senza il quale diventa impossibile ipotizzare un futuro. Incredibili gli attori, Mossaffa è senza dubbio la rivelazione del film, come i piccoli protagonisti, disarmanti nella loro intensità rivelatrice, grazie a Farhadi, che conferma lo status di uno tra i migliori registi contemporanei.

giovedì 28 marzo 2013

Mekong Hotel (2012) di A. Weerasethakul


Gioco d'anticipo, ammettendo di indossare la veste di (improvvisato) critico/recensore snob di opere che pochi hanno o avranno la possibilità, e la voglia, di vedere. Perché quando si parla di questo genere (ma quale ? quelli che una volta definivamo d’essai ?) di visioni, vengo spesso tacciato di snobismo, mentre il mio  scopo è ben altro, ovvero raccontare quello che mi emoziona in un panorama, non solo cinematografico, che per i primi mesi del 2013 è stato davvero sterile.
“Mekong Hotel (2012)” dovrebbe la sesta opera dello sceneggiatore/regista thailandese, dal nome per noi praticamente impronunciabile, Apichatpong Weerasethakul. Qualcuno ricorderà la Palma d’Oro di Cannes 2010 al precedente “Lo Zio Boonmee che si ricorda delle sue vite precedenti” (soporifero, n.d.r.).
Il film, che prende il nome dal lunghissimo fiume che nasce dalla Cina – attraversando Birmania, Laos, Thailandia, Cambogia, per sfociare nel magnifico delta in Vietnam – si muove sugli stessi ritmi blandi, che richiamano il lento scorrere delle acque di quello splendido ed imponente regalo della natura. Continuando, come per “Lo Zio Boonmee”, nella sua messa in scena sempre sospesa tra realtà e onirismo, Weerasethakul racconta la storia di una madre vampiro, di sua figlia e di due giovani amanti.
Ispirandosi alle leggende thailandesi dei Pob, sorta di fantasmi che infettano gli esseri umani, trasformandoli in esseri che si nutrono di carne umana e sangue, “Mekong Hotel” è una sorta di audace e critica lettura - è stato girato al momento delle tremende inondazioni che hanno devastato, recentemente, parte della Thailandia  - che intreccia la demolizione materiale, umana e  politica, un sogno che cela l’andare alla deriva del futuro dei paesi, e dei loro numerosi abitanti, del sud-est asiatico.
Weerasethakul si rivela un maestro nel coltivare un tono pacato per tutta la durata del film (61 minuti) – eccentrico ibrido tra documentario e ghost-story - sempre sorretto da una lieve melodia di chitarra acustica, che cresce gradualmente nel suo effetto ipnotico, utilizzando le vecchie storie di fantasmi come messinscena di una realtà  storica e politica ben più devastante della finzione.
Tentar (la visione) non nuoce.