Un’apnea di quasi tre ore, dal
quale si ritorna a respirare incredibilmente a pieni polmoni, tre ore di grande
Cinema, frenetico, dialoghi tra il surreale e il real-grottesco, un’orgia di
immagini superlative per il biopic di Jordan Belfort. La miglior accoppiata
Scorsese/DiCaprio di sempre, sguardo in camera
del protagonista per tentare di spiegare le complesse e
illegali operazioni finanziarie che hanno fatto di Belfort uno dei più
ricchi broker/truffatori di Wall Street. Un ritratto perfetto di lucida follia,
avidità, arroganza, menefreghismo, puttane, tangenti, cocaina e droghe
di ogni genere, elementi che fanno da cornice al vero soggetto del racconto, il
denaro.
La vera storia di Belfort, non
può non essere paragonata a quella del gangster interpretato da Ray Liotta in
quell’altro, magnifico, racconto di dissolutezza morale che era “Goodfellas”
(il già citato sguardo in camera). Entrambi i film raccontano storie epicamente
trasversali della ricerca frenetica e priva di scrupoli della
ricchezza e del successo, utilizzando i mezzi più amorali, rapidi e micidiali, dove i titoli
azionari sostituiscono le pistole, ottenendo lo stesso disgustoso risultato.
Adattato dalle memorie del
protagonista (tradotto recentissimamente in italiano), “The Wolf of Wall Street”
racconta l’ascesa e le peripezie del principiante broker 22enne che diventa uno
dei più potenti personaggi dell'economia americana. Armato di un eloquio
straordinario, contornatosi di un cerchio di amici apparentemente stupidi ma
leali, di una strategia illegale, ma sorprendente, che gli permette di guadagnare enormi commissioni sui peggiori
titoli del mercato, Wolfie arriva al suo apice negli anni '90, contornato da
miliardi che gli consentono una vita sempre all’eccesso. Ovviamente il governo
federale comincia a curiosare in giro ed indagare sul castello di carte magistralmente
costruito da Belfort, che tenterà, a tutti i costi, di non far infrangere il proprio sogno orgiastico.
Il 71enne Scorsese, come nel
già citato “Goodfellas”, o il De Niro del capolavoro “Casinò”, imprime al
protagonista quell’aurea affascinante, potente e magnetica tipica dei peggiori figli
di puttana, nelle cui mani ruotano denaro e vite prive di alcuna importanza; quando
DiCaprio/Belfort si gira e parla direttamente in camera diventa facile
dimenticare che si sta guardando un film, tanta è la mimetizzazione dell'attore
con il suo ritratto cinematografico. Se la performance di DiCaprio vale
il prezzo del biglietto, diventa impossibile sottovalutare l’eccezionale cast
di supporto, dove si incontrano personaggi sempre sopra le righe, e per questo
quanto mai reali (puttane, ville brianzole?) che lasciano un
ricordo indelebile sul protagonista e il pubblico. Matthew McConaughey (mentore
cocainome del giovane Jordan), l’attore regista Rob Reiner (lo sboccatissimo padre
di Wolfie) sono fantastici, ma se c'è qualcuno che arriva molto vicino a rubare
riflettori a di DiCaprio, è Jonah Hill - poco conosciuto in Italia, se non per
i film con Seth Rogen – nella parte dell’arrapatissimo socio/amico di Jordan.
Tre, impercettibili, ore scandite da un
ritmo di immagini forsennate e ad alta frequenza, come l’esperienza psicotropa
dei protagonisti. Da non perdere, e goderne la visione assolutamente in lingua
originale.