lunedì 20 gennaio 2014

The Wolf of Wall Street (2013) di Martin Scorsese


Un’apnea di quasi tre ore, dal quale si ritorna a respirare incredibilmente a pieni polmoni, tre ore di grande Cinema, frenetico, dialoghi tra il surreale e il real-grottesco, un’orgia di immagini superlative per il biopic di Jordan Belfort. La miglior accoppiata Scorsese/DiCaprio di sempre, sguardo in camera  del protagonista per tentare di spiegare le complesse e illegali operazioni finanziarie che hanno fatto di Belfort uno dei più ricchi broker/truffatori di Wall Street. Un ritratto perfetto di lucida follia, avidità, arroganza, menefreghismo, puttane, tangenti, cocaina e droghe di ogni genere, elementi che fanno da cornice al vero soggetto del racconto, il denaro.
La vera storia di Belfort, non può non essere paragonata a quella del gangster interpretato da Ray Liotta in quell’altro, magnifico, racconto di dissolutezza morale che era “Goodfellas” (il già citato sguardo in camera). Entrambi i film raccontano storie epicamente trasversali della ricerca frenetica e priva di scrupoli della ricchezza e del successo, utilizzando i mezzi più amorali, rapidi e micidiali, dove i titoli azionari sostituiscono le pistole, ottenendo lo stesso disgustoso risultato.
Adattato dalle memorie del protagonista (tradotto recentissimamente in italiano), “The Wolf of Wall Street” racconta l’ascesa e le peripezie del principiante broker 22enne che diventa uno dei più potenti personaggi dell'economia americana. Armato di un eloquio straordinario, contornatosi di un cerchio di amici apparentemente stupidi ma leali, di una strategia illegale, ma sorprendente, che gli permette di guadagnare enormi commissioni sui peggiori titoli del mercato, Wolfie arriva al suo apice negli anni '90, contornato da miliardi che gli consentono una vita sempre all’eccesso. Ovviamente il governo federale comincia a curiosare in giro ed indagare sul castello di carte magistralmente costruito da Belfort, che tenterà, a tutti i costi, di non far infrangere il proprio sogno orgiastico.
Il 71enne Scorsese, come nel già citato “Goodfellas”, o il De Niro del capolavoro “Casinò”, imprime al protagonista quell’aurea affascinante,  potente e magnetica tipica dei peggiori figli di puttana, nelle cui mani ruotano denaro e vite prive di alcuna importanza; quando DiCaprio/Belfort si gira e parla direttamente in camera diventa facile dimenticare che si sta guardando un film, tanta è la mimetizzazione dell'attore con il suo ritratto cinematografico. Se la performance di DiCaprio vale il prezzo del biglietto, diventa impossibile sottovalutare l’eccezionale cast di supporto, dove si incontrano personaggi sempre sopra le righe, e per questo quanto mai reali (puttane, ville brianzole?) che lasciano un ricordo indelebile sul protagonista e il pubblico. Matthew McConaughey (mentore cocainome del giovane Jordan), l’attore regista Rob Reiner (lo sboccatissimo padre di Wolfie) sono fantastici, ma se c'è qualcuno che arriva molto vicino a rubare riflettori a di DiCaprio, è Jonah Hill - poco conosciuto in Italia, se non per i film con Seth Rogen – nella parte dell’arrapatissimo socio/amico di Jordan.
Tre, impercettibili, ore scandite da un ritmo di immagini forsennate e ad alta frequenza, come l’esperienza psicotropa dei protagonisti. Da non perdere, e goderne la visione assolutamente in lingua originale.