martedì 11 luglio 2023

Coma, di Bertrand Bonello (2022)

 Film netto, preciso come un gesto. Bonello riparte dalle parole del suo Yves Saint Laurent, se ne riappropria, spostandone il senso dalla foggia di un abito minimalista eppure superbo a un desiderio, finora irrealizzato, per il proprio cinema. L’immaginario di Bonello non è mai netto né tantomeno preciso. È fatto di traiettorie imprevedibili, di linguaggi, stimoli e suggestioni che sembrano quasi premere ai bordi dell’inquadratura pur di accedervi e conquistarsi uno spazio. Coma non fa eccezione: racchiuso in una toccante lettera alla figlia Anna, che apre e sigilla il film, come il frullatore pubblicizzato dalla misteriosa e mistica influencer Patricia Coma, crea “una zuppa calda con delle verdure crude”, in un magma visivo tanto cerebrale quanto emozionale. Le verdure, va da sé, sono le immagini, quelle che oggi affollano le nostre giornate rendendo impossibile ogni precisione, ogni nettezza. Sul coming of age sospeso, messo in pausa, di un’adolescente in lockdown (Louise Labèque, ritrovata dopo Zombi Child del 2019) si aprono come pop-up le videocall, le chat Zoom con dibattiti su serial killer, i video della youtuber interpretata da Julia Faure e  misteriose riprese senza autore di videocamere di sorveglianza, in un andirivieni tra sogno e veglia, in cui l’immagine, ognuna col proprio diverso formato, finisce per perdere qualsiasi aderenza al reale.

Diventa, anzi, così allucinatoria da farci smarrire insieme alla protagonista: è vero o immaginato l’uomo che assalta l’amica durante la call Zoom, tra Elle di Veroheven e un true crime di Netflix? Le Barbie conducono una vita propria che mescola la soap opera ai tweet più folli di Donald Trump? E la foresta in cui la ragazza finisce per perdersi è un cuore, rivelatore, che tra Dante, Lynch e Philippe Garrel immagazzina incubi di altri autori, mentre la voce di Deleuze ci invita a fare attenzione a non perderci nei sogni degli altri?

Per quanto racchiuso nella cameretta di una teen-ager, Coma non è un film sul lockdown. Al contrario, sembra la pandemia ad essersi appropriata dell’immaginario del cinema di Bonello, da sempre avvezzo agli universi chiusi, cantore – come scrivevamo a proposito di Nocturama – della fine di mondi e sistemi. Ed è allora naturale che in questo nuovo livre d’image, composto dall’autore più godardiano oggi, Bonello riparta proprio dal collasso, per ipertrofia, del Sistema-Immagine. Se Nocturama era un film racchiuso sull’attesa dell’evento, oggi tutto sembra essere accaduto e smaterializzato. Dopo aver sperato, da cineasta, nella Fine, nella Crisi, per tutta la sua filmografia, da Le pornographe a De la guerre a L’apollonide, oggi Bonello si interroga, da padre, sulle macerie rimaste in mano a una generazione che appare già segnata, priva di libero arbitrio, costretta a ripetere sequenze luminose da cui ogni ipotesi di errore è stata rimossa. Eppure, proprio nel suo tirare giù gli idoli, nello strenuo rifiuto del passato, anche cinematografico, quando non sia veicolato a rimettere in circolo idee, sta il lascito artistico e umano che l’autore fa alla propria figlia e a tutti i suoi coetanei. A loro Bonello consegna immagini furenti di distruzione, auspicando una rinascita, come nel brano di Andrea Lazlo De Simone scelto per accompagnare le solitarie danze della giovane protagonista. Da domani inizierà una nuova immensità.

Pubblicato su sentieriselvaggi.it, 10 Luglio 2023 di Fabiana Proietti 

 Rappresentare e raccontare al cinema un presente legato alla pandemia è qualcosa di estremamente complesso. Probabilmente la banalità visiva del lockdown, che da un giorno all’altro ha azzerato ogni tipo di stimolo e variazione di scenario, ha reso questo momento storico paradossalmente irrappresentabile. Eppure è una situazione con cui il cinema sta facendo e dovrà fare i conti nel prossimo periodo. In questo senso Coma di Bertrand Bonello offre uno sguardo decisamente personale e intimo che rappresenta uno straordinario tentativo di catturare e al contempo distruggere e superare i limiti narrativi e visivi che il lockdown ha imposto. Il film è (letteralmente) una lettera piena d’amore, fiducia e speranza, che il regista francese ha voluto scrivere a sua figlia, diventata maggiorenne poco prima dell’esplosione della crisi sanitaria globale e quindi reclusa in casa nel momento in cui avrebbe dovuto iniziare a vivere la propria vita per la prima volta. Bonello mette in scena questo momento di pausa disintegrando la monotonia delle quattro mura sfruttando ogni singolo pretesto per creare dal nulla immagini, narrazioni e distorsioni visive. E così immerge la protagonista del film e lo spettatore in una sorta di flusso in continua evoluzione, fatto di videochiamate, inserti animati in stop-motion, tutorial di influencer, materiali di repertorio e incubi dal sapore lynchano.

Le immagini in cui la figlia del regista si ritrova immersa sono per lei spesso illeggibili, difficilmente interpretabili e potenzialmente pericolose; sono delle ossessioni, dei sogni che si fanno incubi. Sono il riflesso del trauma personale di un’adolescente e di un intera popolazione. Eppure al contempo quelle immagini rappresentano l’unica possibile via di fuga da un presente opprimente e privo di vita; il pretesto per liberarsi dalla monotonia e trovare rifugio in narrazioni sempre nuove e stimolanti. In questo Coma palesa l’assoluta dipendenza che abbiamo nei confronti dell’immagine (cinematografica e non), senza la quale sembra praticamente impossibile sopravvivere oggi. Ma a questo si deve aggiungere l’automatismo quasi inconsapevole e incontrollato con cui ogni stimolo visivo diventa una rielaborazione personale della realtà: una dipendenza nella quale è facile rimanere intrappolati ma di cui è anche impossibile fare a meno.

Così anche una lettera d’amore per un’adolescente appena maggiorenne diventa un racconto universale che si adatta facilmente all’esperienza che ogni individuo ha vissuto in quel momento storico. In tutto questo aleggia chiaramente una continua sensazione di imminente fine del mondo, che però è contrastata dalla speranza di un futuro in cui le nuove generazioni sapranno padroneggiare le immagini, e quindi la vita, con più fortuna.

Pubblicato su cineforum.it, 10 luglio 2023 di Francesco Ruzzier