giovedì 28 marzo 2013

Mekong Hotel (2012) di A. Weerasethakul


Gioco d'anticipo, ammettendo di indossare la veste di (improvvisato) critico/recensore snob di opere che pochi hanno o avranno la possibilità, e la voglia, di vedere. Perché quando si parla di questo genere (ma quale ? quelli che una volta definivamo d’essai ?) di visioni, vengo spesso tacciato di snobismo, mentre il mio  scopo è ben altro, ovvero raccontare quello che mi emoziona in un panorama, non solo cinematografico, che per i primi mesi del 2013 è stato davvero sterile.
“Mekong Hotel (2012)” dovrebbe la sesta opera dello sceneggiatore/regista thailandese, dal nome per noi praticamente impronunciabile, Apichatpong Weerasethakul. Qualcuno ricorderà la Palma d’Oro di Cannes 2010 al precedente “Lo Zio Boonmee che si ricorda delle sue vite precedenti” (soporifero, n.d.r.).
Il film, che prende il nome dal lunghissimo fiume che nasce dalla Cina – attraversando Birmania, Laos, Thailandia, Cambogia, per sfociare nel magnifico delta in Vietnam – si muove sugli stessi ritmi blandi, che richiamano il lento scorrere delle acque di quello splendido ed imponente regalo della natura. Continuando, come per “Lo Zio Boonmee”, nella sua messa in scena sempre sospesa tra realtà e onirismo, Weerasethakul racconta la storia di una madre vampiro, di sua figlia e di due giovani amanti.
Ispirandosi alle leggende thailandesi dei Pob, sorta di fantasmi che infettano gli esseri umani, trasformandoli in esseri che si nutrono di carne umana e sangue, “Mekong Hotel” è una sorta di audace e critica lettura - è stato girato al momento delle tremende inondazioni che hanno devastato, recentemente, parte della Thailandia  - che intreccia la demolizione materiale, umana e  politica, un sogno che cela l’andare alla deriva del futuro dei paesi, e dei loro numerosi abitanti, del sud-est asiatico.
Weerasethakul si rivela un maestro nel coltivare un tono pacato per tutta la durata del film (61 minuti) – eccentrico ibrido tra documentario e ghost-story - sempre sorretto da una lieve melodia di chitarra acustica, che cresce gradualmente nel suo effetto ipnotico, utilizzando le vecchie storie di fantasmi come messinscena di una realtà  storica e politica ben più devastante della finzione.
Tentar (la visione) non nuoce.

mercoledì 6 marzo 2013

Noi siamo infinito (2012) di Stephen Chbosky



Una scatola di ricordi adolescenziali, una cassetta/compilation, come quelle che si scambiano i protagonisti (...sigh...) ricca di ricordi non solo musicali, colonna sonora di una parte delle nostre vite.

Questo, e fortunatamente molto altro, è “The Perks of Being a Wallflower”,  tradotto con la solita, maccheronica, scellerata attitudine, pur se questa volta meno di altre. 

Tratto dal romanzo best-seller - in US - di Stephen Chbosky, è un piccolo, moderno classico, che cattura gli alti e i bassi che si susseguono vertiginosamente nell’adolescenza, un racconto commovente sull’Amore, la perdita, la paura e la speranza, gli amici e i momenti indimenticabili che segnano, in un modo o nell’altro, la Vita. Per la trama sono ben lieto di rimandarvi, risparmiandomi inutili fatiche di battitura, a http://www.mymovies.it/film/2012/theperksofbeingawallflower/ .

Pur non avendo letto la novella di Chbosky, ambientata nei primi anni ‘90, sembrano certe le influenze di uno dei cult adolescenziali per antonomasia, quel Giovane Holden di cui si trovano tracce nel tentare di riprodurre il modo di pensare, di sentire, anche nell’approccio alla scrittura, nelle lettere all'amico defunto, del protagonista, l’adolescente Charlie (un simpatico e dolente Logan Lerman).

I grandi temi e dilemmi dell’adolescenza, della formazione, vengono indubbiamente frullati ed esasperati (il lutto e la perdita, la droga, il sesso), ma il difetto viene cancellato dalla sensibilità del regista e degli interpreti che, anche per ovvie connotazioni anagrafiche, risvegliano ricordi, in fondo mai sopiti e colmi di quella sana (non sempre...) nostalgica bellezza.

Personalmente come farei a non emozionarmi di fronte ad una colonna sonora zeppa di Smiths, Dexys Midnight Runners, New Order, Cocteau Twins e il Bowie di “Heroes”, che, in una delle scene più ruffiane (ma chi se ne frega, è comunque foriera di piccoli, emozionanti, brividi) fa chiedere a Charlie e i suoi amici quale sconosciuta meraviglia stanno ascoltando ?