martedì 18 gennaio 2022

Licorice Pizza, di Paul Thomas Anderson (2021)


Alla fine, sono sempre affari di famiglia. Perché il cinema di Paul Thomas Anderson continua a mostrare dei legami tra i personaggi che sono sanguigni anche se non legati da nessuna parentela. I padri di Magnolia e Il petroliere sono diventati figure assenti nel caso di Gary o sfocate in quello di Alana, anche se la ragazza all’inizio deve quasi scappare da lui dopo che è rientrata tardi e rifugiarsi nella sua stanza. Però c’è una magnifica dipendenza. Prima di tutto negli occhi. Gary e Alana non possono vivere senza l’altro. E non possono neanche stare insieme. Possono essere in fuga e a volte trovano la possibile salvezza in quella fantastica sfida, con il camion a marcia indietro guidato dalla ragazza dopo che ha finito la benzina. Ma a volte si trovano intrappolati come in uno dei momenti travolgenti di tutto il cinema di PTA con la scena della telefonata. Gary chiama Alana, finge di essere un altro ragazzo, poi riaggancia. Il fratello più piccolo lo guarda, in una composizione dell’inquadratura con un riflesso rossastro che potrebbe arrivare da Vizio di forma. Poi lei gli ritelefona. Non si parlano. Si sentono solo sullo sfondo le voci di uno show televisivo. Sono soli e non possono più fuggire. Assieme ai volti di questi due incredibili protagonisti al loro esordio cinematografico, Alana Haim e Cooper Hooffman, scorrono in dissolvenza tutti i personaggi di Magnolia mentre cantano Wise Up, quelli di Mark Wahlberg e Burt Reynolds terminata l’euforia di Boogie Nights o quello di Vicky Krieps vittima/carnefice in Il filo nascosto.

1973. Gary e Alana si conoscono il giorno delle foto nel liceo del ragazzo. Lui è un attore in rampa di lancio. Lei, più grande di diversi anni, è un’assistente fotografa insoddisfatta. Tra loro nasce un forte legame. Ma non è amore, o almeno non sembra. Sono amici, litigano, sono gelosi, si riappacificano, stanno male. Alana lo insegue come se fosse la sua ragazza quando Gary viene fermato dalla polizia con l’accusa di omicidio. Ma non c’è niente da fare, si separano di nuovo. Tra il business dei materassi ad acqua e poi della sala flipper e gli incontri della ragazza con il famoso attore Jack Holden (Sean Penn), il parrucchiere e produttore Jon Peters (Bradley Cooper) che ha una relazione con Barbra Streisand e il candidato sindaco Joel Wachs (Benny Safdie), le loro vite si incrociano continuamente e cercheranno di capire quello che provano l’uno per l’altra.

Alla fine, sono sempre affari di famiglia. C’è quella del set di PTA dove i personaggi possono reincarnarsi da un film all’altro anche in storie diversissime. C’è la familiarità di un luogo, San Fernando Valley, dove sono ambientati anche Boogie Nights e Magnolia. C’è poi un legame che diventa discendenza e testamento. Cooper Hoffman è il figlio di Philip Seymour con cui il regista ha girato tutti i suoi film, dall’esordio di Sidney fino a The Master prima della morte dell’attore nel 2014.

Licorice Pizza, titolo che fa riferimento a una catena di negozi di dischi di San Fernando Valley, è l’American Graffiti di PTA. Quelle luci, quei colori sono visti con i suoi occhi; la fotografia, dopo Il filo nascosto, è infatti firmata dal cineasta (stavolta accreditato) assieme a Michael Bauman. È insieme un inseguimento amoroso nel tempo, un diario di formazione sentimentale attraversato da un vento di libertà che trascina via con sé. Ha il cuore del film piccolo e la struttura di un grande affresco d’epoca, racconta Hollywood dei Seventies con lo stesso slancio con cui il cinema americano degli anni ’70 guardava al noir dei ’40. Bradley Cooper reincarna Jon Peters e regala momenti di straripante comicità mentre fa pronunciare più volte a Gary “Streisand” per correggerlo ogni volta e regala una battuta che è la magnifica follia tra i Fratelli Marx che diventano politicamente scorretti e i Farrelly: “Sai quanta fica mi prendo? Tutta quanta. È tutta mia”. Invece il personaggio per cui Alana sta facendo l’audizione si ispira a Breezy, girato proprio nel 1973 con il personaggio interpretato da Sean Penn che si chiama Jack Holden, forse riferimento a William Holden, il protagonista del film diretto da Clint Eastwood.

Licorice Pizza è di una vitalità e una bellezza mostruosi. Così come è un mostro di bravura Alana Haim, che sembra che abbia già alle spalle venti film e non essere al primo. La complicità incredibile tra le e PTA risale però prima di questo film; il cineasta statunitense infatti ha diretto una dozzina di videoclip del gruppo Haim, una band formata da Alana e delle sue due sorelle più grandi. È un film che coglie tutti gli attimi possibili, fa sentire tutta la frenesia nella corsa in moto di Sean Penn, nel vetro spaccato della macchina, negli incanti cinefili alla Jarmusch da dove arriva Tom Waits. Ma soprattutto è un cinema pieno di corse. Fin dall’inizio. Gary e Alana camminano nella notte dopo essersi conosciuti da poco. Poi corrono, sbandano, cadono a terra, si rialzano e corrono di nuovo. Come Forrest Gump, come in Jules e Jim o al Louvre in Bande à part. Non è uno, non sono tre. Sono Gary e Alana. E nel finale da terra potrebbero alzarsi in aria. Perché è cosi, con Licorice Pizza si vola ancora più in alto che in Up!. E PTA oggi è un regista di un cinema senza età. Magnificamente vecchio, incredibilmente giovane. Alla fine sono la stessa cosa. L’altra faccia, speculare dello strepitoso West Side Story.

Regia: Paul Thomas Anderson

Interpreti: Alana Haim, Cooper Hoffman, Sean Penn, Tom Waits, Bradley Cooper, Benny Safdie, Maya Rudolph, Skyler Gisondo, Mary Elizabeth Ellis, Joseph Cross, John C. Reilly, Emma Dumont

Durata: 133′ 

Pubblicato su sentieriselvaggi.it il 18 Gennaio 2022, di Simone Emiliani

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When people say, you’re not my kind / And that your clothes are out of line / And that your hair isn’t combed all the time / You’re not real pretty but you’re mine”, cantano Sonny e Cher in But You’re Mine, mentre David Bowie con Life on Mars? risponde idealmente “But the film is a saddening bore / For she’s lived it ten times or more”. Anche Gary e Alana, probabilmente, troverebbero noioso un film, loro che stanno vivendo, brutalmente sognando, e correndo. Corrono sempre, in Licorice Pizza, Gary e Alana: corrono l’uno verso l’altro, l’uno contro l’altro, si inseguono, corrono mentre il mondo sta cadendo a pezzi, con la crisi del petrolio che lascia a secco le macchine della città. Corrono a piedi mentre altri inseguono sogni di passata gloria in sella a una motocicletta, come se questa illusione potesse permettere di sopravvivere nella realtà. Ma dalla moto si cade, e cade anche Alana, con Gary che immediatamente, senza pensarci, corre verso di lei. Dopo la stasi algida, raffinatissima e quasi incorporea de Il filo nascosto, Paul Thomas Anderson torna alla carne, a un brulicare di vita/morte che è persino ignaro della propria essenza. All’interno di questo viaggio in sé stesso che diventa racconto di un mondo cristallizzato nel tempo – e dunque inevitabilmente idealizzato – il regista statunitense ritrova le schegge forsennate di Ubriaco d’amore, Sydney, e Magnolia, i suoi film più nevrastenici, controllati e liberissimi allo stesso tempo, nonché gli unici ambientati nel tempo presente. Per il resto il cinema di Anderson è un lungo peregrinare nel tempo che fu, dal principio del Novecento ne Il petroliere al secondo dopoguerra di The Master e Il filo nascosto, fino al 1970 di Vizio di forma, al 1973 di Licorice Pizza, al 1977 in cui inizia Boogie Nights. Gli anni Settanta, quelli in cui un Anderson bambino iniziava a scoprire la vita, e che nelle sue mani non sono mai un oggetto inerte, ma pulsano di una ricerca quasi topografica delle proprie origini: sia Boogie Nights che Licorice Pizza sono ad esempio ambientati nella San Fernando Valley, l’area losangelina in cui crebbe il regista (ed è quello l’epicentro della narrazione anche in Magnolia e Ubriaco d’amore). Licorice Pizza in tal senso è davvero una fotografia recitata a memoria di una città che non esiste più, a partire ovviamente dal titolo che si rifà a un negozio di dischi molto in voga tra i giovani dell’epoca. La già citata crisi energetica scatenata dall’OPEC, la corsa per la poltrona di sindaco del giovanissimo Joel Wachs, Lucille Ball e il suo Appuntamento sotto il letto, il ritorno delle sale gioco per flipper, il “Mikado”, primo ristorante giapponese aperto nella San Fernando Valley: è come se Anderson inseguisse il filo delle proprie suggestioni, quelle immagini squarcianti che invadono il cervello con il passato senza che si possa dar loro una collocazione esatta, precisa, inappuntabile.

Così il film procede dimenticandosi del tutto l’idea di struttura, di nuovo come il vagare di Alana e Gary, che si frequentano e si distaccano, per poi avvicinarsi ancora una volta, in un percorso di conoscenza e innamoramento che supera una seconda barriera del tempo, quello anagrafico: Alana ha dieci anni più di Gary, che ne ha solamente 15 all’inizio del film. Il rapporto tra i due personaggi, resi magnificamente dalle prime interpretazioni davanti alla macchina da presa della musicista Alana Haim e di Cooper Hoffman, figlio di quel Philip Seymour che fu l’attore prediletto di Anderson, è il centro nevralgico del film, quel tenersi negli occhi dei due è anche la vertigine dello sguardo andersoniano, che in maniera voluta fa sì che tutto il resto risulti episodico, aneddotico, privo di qualsiasi ipotesi di continuità. La vita scorre, in Licorice Pizza, e tutto si dissolve e svanisce, dall’impresa di Gary come venditore di materassi ad acqua al tentativo di Alana di diventare attrice sul set di un film che rassomiglia da vicino a Breezy di Clint Eastwood – con Sean Penn a vestire i panni di tal Jack Holden, che fin dal nome rimanda a William Holden –, o di impegnarsi nella politica per il rinnovamento della “città degli angeli”. Ma un tempo cristallizzato non è riformabile. Gli anni Settanta sono un bene rifugio per Anderson e nel pieno della pandemia, con il mondo rinchiuso nelle proprie case, gli consentono di evadere, di ricordare le corse libere in mezzo alla strada, di perdersi ancora nello struggimento di un amore che non ha modo di esprimersi ma semplicemente vibra nell’aria. Così Licorice Pizza diventa a suo modo anche un film sul proprio tempo, e sull’impossibilità di vivere oggi, quasi di respirare; nel confrontarsi con una quotidianità asettica e priva di sentimento Anderson risponde con una sua personalissima versione di Come eravamo, e anche un po’ di Ma papà ti manda sola – l’incredibile guida in ripida discesa a retromarcia del camion rimasto senza carburante –, e non è di certo casuale che Alana Haim abbia qualcosa di Barbra Streisand (a partire dal “naso ebreo” che tanto loda Harriet Sansom Harris nei panni di Mary Grady, celebre agente di attori-bambini in quel di Hollywood), per di più citata con tanto di interrogazione sulla pronuncia del cognome.

Anche per questo non ha bisogno di una trama Licorice Pizza, perché una narrazione canonica lo ingabbierebbe, lo costringerebbe a confrontarsi con lo spazio-tempo in modo meno sognato, meno lisergico, meno libero. Tra American Graffiti di George Lucas (uscito in sala proprio nel fatidico 1973), Fast Times at Ridgemont High di Cameron Crowe e Dazed and Confused di Richard Linklater, evidenti punti di riferimento ideali per Anderson, Licorice Pizza si muove con una grazia seducente, con la levità di una passeggiata estiva serale, eppure non dimentica alcuni dei temi più cari al regista, come ad esempio l’assenza dei genitori, il concetto fuggevole di bambino prodigio, l’esteriorità virulenta del maschile (qui incarnata nei modi spacconi e non poco dissociati di Bradley Cooper), l’alienazione, la solitudine, l’incapacità di trovare la propria strada, la spinta imprenditoriale. Tra un omaggio a Taxi Driver e uno a Nashville – si veda l’uomo che spia il comportamento del candidato sindaco Wachs, metà Travis Bickle metà Kenny Fraiser – Paul Thomas Anderson chiama a raccolta amici e vicini, parenti e affetti vari, e utopisticamente tiene a distanza il mondo virale abbandonandosi a una rêverie delicatissima, e dedicando alcune sequenze molto ispirate come l’incontro tra Gary, Alana e l’agente del ragazzo, o la già citata guida al contrario del camion. Ma su tutte svetta la telefonata “in incognito”, con i due che ognuno alla sua cornetta e osservati dai genitori e dai fratelli e sorelle restano muti, in attesa di una parola che arriverà solo all’ultimo istante, ma che pervade ogni singola inquadratura del film.

Pubblicato su quinlan.it 19/01/2022 di Raffaele Meale



 

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